(Roma, 27 marzo 2022). Scontri verbali (per ora) tra Azerbaigian e Russia sul Nagorno-Karabakh. Mosca rischia di impegnarsi su più quadranti e si espone agli avversari. Massima attenzione per l’Italia, che dall’Azerbaigian importa gas-non-russo
Il ministero della Difesa russo ha dichiarato che le forze armate azere sono entrate in una zona sorvegliata dalle forze di pace russe nella regione del Nagorno-Karabakh, in violazione di un accordo di controllo dell’area altamente instabile, ma l’Azerbaigian ha contestato queste affermazioni. Mosca sostiene di aver invitato Baku a ritirare le sue truppe, mentre “applicava sforzi” di pace sul campo.
Ha anche detto che l’Azerbaigian ha effettuato quattro attacchi di droni in Nagorno-Karabakh. Val la pena notare che queste dichiarazioni specifiche sui droni servono per inviare un attacco incrociato alla Turchia che fornisce quegli stessi UAV sia a Baku che a Kiev come altrove, mezzi che hanno un ruolo nel creare grossi problemi all’avanzata russa in Ucraina.
Se l’Azerbaigian è emerso come vincitore in quel conflitto contro l’Armenia, avendo riconquistato il territorio che aveva perso in una precedente guerra tra il 1991 e il 1994, è anche per il sostegno militare ricevuto dalla Turchia.
Il ministero della difesa dell’Azerbaigian ha confutato la versione degli eventi diffusa da Mosca e ha descritto la dichiarazione della Russia come “unilaterale”. Le unità armate armene “illegali”, dicono gli azeri, hanno tentato un atto di sabotaggio, ma hanno dovuto ritirarsi quando sono state applicate “misure immediate”.
Baku ribadisce il suo impegno nel quadro della cosiddetta “dichiarazione a tre vie” — un accordo che ha firmato con l’Armenia e la Russia nel novembre 2020 per porre fine al conflitto militare sulla regione dopo più di un mese di spargimento di sangue. Ma molte questioni rimangono irrisolte, compreso lo status legale del Nagorno-Karabakh e degli armeni che vi abitano.
Mosca ha schierato quasi duemila forze di peacekeeping nell’area dopo il cessate il fuoco, riaffermando il suo ruolo di poliziotto diplomatico e chief power broker (copyright Reuters) in una parte instabile dell’ex Unione Sovietica, ossia della sfera di influenza che rivendica. Una zona dove la Turchia esercita una crescente influenza grazie alla sua stretta alleanza con l’Azerbaigian e all’implementazione del ruolo del Türk Keneşi, gli Stati Uniti del Mondo Turco.
L’invasione dell’Ucraina ha inevitabilmente portato Vladimir Putin a scoprire alcune aree di impegno operativo, a cominciare da quella cooperazione con l’Armenia appunto. Ma i rischi riguardano anche l’Ossezia, l’Abkhazia e la Transinistria, tutte zone delicatissime, e pure altre parti del mondo, dalla Libia al Mali. Zone in cui gli avversari russi potrebbero approfittare della distrazione — o meglio della necessità di Mosca di rafforzarsi in Ucraina, dove la campagna militare è in stallo.
Forse anche a questo si legano le volontà annunciate dai russi di ridimensionare gli obiettivi: il rischio è di non conquistare l’Ucraina e contemporaneamente di arretrare su vantaggi tattico-strategici assunti altrove.
Le dinamiche che riguardano il Nagorno-Karabakh e l’ovvio coinvolgimento dell’Azerbaigian rappresentano un interesse strategico per l’Italia. Il governo Draghi è in cerca di un modo per differenziare le proprie forniture energetiche, soprattutto di gas naturale, dalla Russia. In questo sforzo — che passa anche da Algeria, Qatar e Mozambico — Baku ha un ruolo. Dall’Azerbaigian — attraversando Georgia, Turchia, Grecia e Albania, prima di inabissarsi nell’Adriatico — parte il Corridoio Meridionale del Gas di cui fa parte anche il gasdotto Tap, che permette al corridoio di sboccare nel comune di Melendugno, in provincia di Lecce.
Attivo dal 31 dicembre 2020, fa arrivare in Italia poco meno di 30 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno e lavora al 95 per cento circa della sua capacità. Ora, con la crisi derivata dalla guerra di Putin in Ucraina e dopo che la vuota ostinazione ideologica di alcune componenti politiche italiane avevano cercato ogni modo per boicottarlo, si pressa nel piano di aumentarne le pressioni di pompaggio per far aumentare i metri cubi che arrivano in Italia — attualmente a 10 miliardi annui potenzialmente raddoppiabili. Il potenziamento della capacità seguirà una procedura europea di test di mercato con durata media di un paio d’anni ed è già stata avviata nel luglio 2021. La pratica è stata accelerata dalla guerra, ma il rischio è che eventuali hotspot (per alcuni versi connessi) del conflitto possano creare complicazioni tecnico-politiche e di sicurezza.
Di Emanuele Rossi. (Formiche)