Per la prima volta i russi hanno paura di una guerra calda

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(Roma, Parigi, 16 febbraio 2022). Secondo Levada, l’istituto demoscopico indipendente più autorevole del Paese, « la prospettiva di un conflitto con l’Ucraina sembra alla maggioranza assurdo, senza motivo e se ne temono anche gli effetti economici »

I venti di guerra che soffiano tra Mosca e Kiev hanno portato a un fatto « inedito » nella Russia degli ultimi 20 anni: per la prima volta, in cima alle preoccupazioni della popolazione si registra il rischio di quella che in russo si chiama ‘goryachaya voyna’ una guerra calda, reale. A raccontarlo all’AGI è Lev Gudkov, direttore del Levada Tsentr, l’istituto demoscopico indipendente più autorevole del Paese, bollato in patria come « agente straniero ». Dal 2003, il Levada sonda gli umori dei russi e il loro rapporto col potere e « mai aveva registrato un tale livello di paura per un conflitto armato ».

« Il 65-66% della popolazione, secondo i nostri sondaggi, teme una grande guerra, che è oggi al secondo posto tra le preoccupazioni della gente », spiega Gudkov in un’intervista telefonica: « Prima c’è solo la paura per i propri cari, molto legata agli effetti della pandemia ».

I russi non solo temono la guerra, ma non la vogliono, come dice il 58% degli intervistati dal Levada. « La prospettiva di un conflitto con l’Ucraina sembra alla maggioranza assurdo, senza motivo e se ne temono anche gli effetti economici », sottolinea Gudkov, ricordando che durante la crisi della Crimea, nel 2014, la gente temeva le sanzioni, ma mai una guerra vera.

Allo stesso tempo, però, « altrettanto significativo è che il 37% dei russi crede possibile un scontro armato contro l’Ucraina e il 25% contro la Nato. « Anche questi sono dati mai registrati prima », rileva il sociologo. La propaganda interna, che sui media mainstream controllati dal Cremlino va avanti a tamburo battente, « ha abbandonato la retorica usata nel 2014 e nel 2015 sul golpe in Ucraina, che ha portato al potere nazisti e fascisti » e dipinge l’ex repubblica sovietica « come una marionetta degli Stati Uniti e punta sull’idea della Nato che vuole avvicinarsi ai nostri confini e costruire in Ucraina la sua piazza d’armi anti-russa », racconta Gudkov.

Nell’ultimo mese, però, il Levada ha registrato un calo dell’efficacia di questa narrativa: « L’intensità e la quantità di trasmissioni di propaganda continua, ma la gente l’assorbe meno e nonostante questa ondata di aggressività, i russi si dividono a metà sul loro rapporto con l’Ucraina: il 45% esprime un atteggiamento positivo e il 43% negativo ». Sullo sfondo dell’intensificarsi della mobilitazione militaresca dell’elettorato, il rating di Putin – che in autunno e gennaio ha continuato a diminuire – a febbraio ha registrato un lieve aumento di 4 punti percentuali, fino al 69%, un massimo negli ultimi sei mesi.

« La minaccia di una guerra ha portato a segnali di consolidamento e sostegno della popolazione attorno al presidente », sottolinea Gudkov, « bisognerà poi vedere solo col tempo, se si tratta di una tendenza ». Ma come si rifletterebbe una guerra vera sulla popolarità di Putin ?

Il Levada ha sondato anche questo: per la maggioranza dei russi (tra il 56% e il 58%) aumenteranno insoddisfazione e proteste e calerà la fiducia nei confronti delle politiche del presidente. La classifica delle preoccupazioni attuali dei russi registra anche un altro inedito: al terzo e quarto posto ci sono « il ritorno alle repressioni di massa e al terrore ». « Anche questo non era mai stato registrato prima ed è il riflesso di questa sorta di isteria collettiva, legata alla militarizzazione e alla repressione », secondo Gudkov. Per repressione, il sociologo non si riferisce solo a quella più nota in Europa nei confronti degli oppositori politici, come Aleksei Navalny.

« Il potere sta cercando di consolidare le èlite con mezzi come i repulisti degli elementi giudicati non stabili ai vertici dell’apparato burocratico: negli ultimi cinque, sei anni, ogni anno sono stati arrestati circa il 20% di alti funzionari, parliamo di governatori, vice ministri, capi dipartimento, il 10-12% è stato processato. Si tratta di numeri significativi.

Tra gli oppositori, la cifra è molto più alta: secondo l’Ong per i diritti umani Memorial, i prigionieri politici ufficiali sono 1.500″. C’è poi una repressione più sottile, che sfugge a un monitoraggio sistematico, « ed è fatta di arresti brevi tra i manifestanti, espulsioni tra studenti e universitari, licenziamenti ». La paura della guerra e della pandemia, il clima di repressione, il calo dei guadagni delle famiglie e degli standard di vita, tutto questo forma quella che il direttore del Levada definisce « una miscela di frustrazione e di incertezza » tra i russi, « che ormai hanno difficoltà a immaginarsi il futuro ».

Di Marta Allevato. (AGI)