Desta crescente preoccupazione la situazione della sicurezza nell?est della Repubblica democratica del Congo (Rdc), e in particolare nella provincia dell?Ituri: teatro da anni di violenze di carattere settario, l'area ha visto aumentare negli anni gli attacchi di milizie ribelli ed i rapimenti, che hanno minato la stabilità di una regione ricca di risorse minerarie e già alle prese con l?epidemia di ebola, che solo il mese scorso è stata dichiarata conclusa. In un quadro che di settimana in settimana si fa sempre più drammatico, e di fronte al susseguirsi di numerosi appelli internazionali, le autorità di Kinshasa hanno pertanto deciso di correre ai ripari nel tentativo di riportare sotto controllo una situazione assai intricata: è notizia di ieri, infatti, che il governo ha concordato con alcuni ex signori della guerra il loro invio nel Paese per cercare di convincere i miliziani a non proseguire nella lotta armata e ad arrendersi. Secondo i media locali, fra gli ex combattenti ci sarebbe anche Germaine Katanga, che è stata condannata dalla Corte penale internazionale (Cpi) nel 2014 per crimini contro l'umanità e crimini di guerra, per aver guidato una milizia Lendu in un attacco del 2003 contro un villaggio nel quale sono morti circa 200 civili. Un altro ex combattente coinvolto nei tentativi di mediazione è Mathieu Ngudjolo, che è stato processato ma assolto dalla Cpi per aver svolto un ruolo nello stesso attacco.
Il piano non rappresenta una novità: fin dai primissimi mesi della sua presidenza, e perfino in campagna elettorale, il presidente Felix Tshisekedi aveva infatti annunciato la sua intenzione di coinvolgere ex signori della guerra nel processo di riconciliazione con i gruppi ribelli, che da quando Tshisekedi è salito al potere ? all'inizio del 2019 ? hanno intensificato i loro attacchi uccidendo migliaia di civili. ?La pace non ha prezzo. È una decisione difficile, ma è stata inevitabile per porre fine a questo ciclo di omicidi?, aveva affermato Jean-Marc Mazio, project manager del Programma di stabilizzazione e ricostruzione nella Rdc orientale (Starec-Ituri, iniziativa del governo congolese), in riferimento ad un accordo raggiunto nel febbraio fra il governo e la Forza di resistenza patriottica di Ituri (Frpi), uno dei numerosi gruppi che costellano la galassia delle milizie ribelli congolesi. Con questo compromesso, denunciato da alcuni come una concessione all'impunità dei gruppi armati, Kinshasa spera di poter finalmente ripristinare la sua autorità su una regione travagliata. La situazione sul campo, nel frattempo, si fa sempre più preoccupante. Nei giorni scorsi l'esercito congolese ha denunciato la morte di otto persone, tra cui sei militari, in seguito ad un attacco avvenuto nel villaggio di Tuwetuwe, nella provincia del Sud Kivu. Lo ha riferito il portavoce dell'esercito, Dieudonne Kasereka, secondo il quale negli scontri sono rimasti uccisi anche due civili. L?attacco, ha detto il portavoce, è stato condotto da membri della milizia Makanika, un'alleanza di gruppi armati locali. Inoltre, un totale di 11 persone, tra cui militari e funzionari locali, sono morte sabato scorso sempre nell'Ituri in un attacco della milizia armata Codeco, che è accusata di diversi massacri nella zona.
La recrudescenza degli attacchi ? accentuata in seguito al lancio dell?offensiva delle forze armate congolesi, lo scorso 30 ottobre ? denota una situazione sempre più esplosiva. Secondo quanto denunciato in un rapporto pubblicato ieri dall'Ufficio congiunto per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unjhro) ? istituito nel 2008 e che comprende la Divisione per i diritti umani della Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della Rdc (Monusco) e l'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani nel Paese ? gli attacchi "sistematici e brutali" avvenuti negli ultimi 18 mesi nell'est della Rdc soprattutto da parte delle milizie islamiche delle Forze alleate democratiche (Adf, gruppo armato ugandese da anni di stanza nell?est del Paese e che ha giurato fedeltà allo Stato islamico) possono configurare crimini di guerra e contro l'umanità. ?Nella maggior parte dei casi, i mezzi e il modus operandi degli attacchi indicano una chiara intenzione di non lasciare sopravvissuti. Intere famiglie sono state aggredite e uccise?, si legge nel rapporto, secondo cui gli attacchi "possono equivalere a crimini contro l'umanità e crimini di guerra". Il rapporto è riuscito a documentare 397 casi di violazioni dei diritti umani avvenute nelle province dell?Ituri e dl Nord Kivu e che possono essere ricondotte all'Adf nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2019 e il 31 gennaio 2020: questi casi coinvolgono almeno 1.154 vittime, di cui 235 donne e 166 bambini. Inoltre, l?Unjhro stima che almeno 176 civili siano rimasti feriti nello stesso periodo, mentre altri 717 sono stati rapiti da combattenti dell'Adf, i quali sono accusati anche di reclutare bambini soldato e per il lavoro forzato, in palese violazione del diritto internazionale umanitario. Il rapporto ha documentato anche sette attacchi contro ospedali e centri sanitari e un attacco contro una scuola.
Secondo gli esperti dell?Onu, le atrocità perpetrate dai militanti dell'Adf contro i civili sono "diffuse, sistematiche ed estremamente brutali" e vengono commesse usando machete, asce, coltelli, fucili AK-47, mortai e lanciarazzi, mentre spesso i miliziani ricorrono al saccheggio e al rogo delle proprietà come atto di vendetta per le campagne militari delle Forze armate congolesi (Fardc) contro di loro. ?In base al diritto internazionale, le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse dai combattenti Adf potrebbero costituire, per loro natura e portata, crimini contro l'umanità e crimini di guerra?, afferma il rapporto. ?Nella maggior parte dei casi, i mezzi e il modus operandi degli attacchi hanno indicato una chiara intenzione di non lasciare sopravvissuti?, prosegue lo studio. D'altro canto, gli esperti Onu hanno denunciato di recente anche diverse violazioni commesse contro le Adf dalle Fardc durante la loro offensiva lanciata nel 2019 per reprimere i gruppi ribelli: le forze di sicurezza, nello specifico, sono accusate di aver ucciso 14 civili e di averne feriti altri 49, oltre ad essere responsabili dell'arresto e della detenzione arbitrari di 297 civili. Queste violazioni, secondo l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), hanno rafforzato la sfiducia della popolazione nei confronti delle forze di sicurezza e di difesa, ulteriormente alimentata dalle continue atrocità commesse da gruppi armati. L'ondata di omicidi da parte dei militanti ha inoltre scatenato lo scorso anno proteste contro la Missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Monusco) e le autorità congolesi per il loro presunto fallimento nella protezione dei civili.
Le violenze nell?est della Rdc sono frutto di preoccupazione anche in seno alla comunità internazionale, compresa l?Italia. In una nota diffusa in occasione del 60mo anniversario dlel?indeipendenza congolese, lo scorso 1 luglio, la Farnesina ha affermato di seguire "con la massima attenzione" il progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza nelle province dell'est della Repubblica democratica del Congo (Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri), precisando che ?gli sforzi di pacificazione in queste aree sono ancora lontani". Di fronte alla "costante escalation di violenza tra milizie", che coinvolge anche la popolazione civile e si è ulteriormente aggravata nelle ultime settimane, l?Italia aderisce al recente richiamo rivolto dall?Alto rappresentante dell'Unione europea, Josep Borrell, alle autorità di Kinshasa affinché si adoperino con risolutezza per garantire la sicurezza nell?area, avvalendosi anche del supporto della missione Monusco, e continuino a dialogare in modo costruttivo con i Paesi limitrofi per raggiungere al più presto una pace duratura e condivisa. L?Italia ? prosegue la nota ? conferma pieno impegno, insieme ai partner europei, per tenere alta l?attenzione della comunità internazionale su questa crisi che colpisce sistematicamente la popolazione civile e continuerà il proprio supporto anche attraverso gli interventi di emergenza della cooperazione allo sviluppo che si affiancano ai progetti delle associazioni e ong italiane, anche religiose, che con la loro solidarietà contribuiscono in modo determinante al miglioramento delle condizioni di vita in quella regione così a lungo colpita da guerra e epidemie.
A complicare ulteriormente la situazione c?è poi la questione degli sfollati e dei rifugiati. L?Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha infatti espresso di recente ?sgomento? per il crescente numero di aggressioni violente perpetrate da gruppi armati ai danni dei civili sfollati e si è appellato alle autorità affinché rafforzino la presenza delle forze militari e di polizia col supporto della missione Monusco al fine di migliorare la situazione sul piano della sicurezza e perseguire i responsabili. La Rdc fa registrare uno dei tassi più elevati di sfollati interni su scala mondiale. Oltre cinque milioni di persone sono stati costretti a fuggire a causa dell'assenza di sicurezza entro i confini nazionali, mentre quasi un milione ha cercato di mettersi in salvo nei Paesi limitrofi in qualità di rifugiati. All'Unhcr ? si legge in una nota ? stanno pervenendo testimonianze sulle modalità con cui i gruppi armati scatenano il terrore contro le persone in fuga, all'interno degli insediamenti di sfollati e presso le aree di accoglienza, e contro quelle che cercano di fare ritorno alle proprie terre, registrando, inoltre, casi di omicidio e mutilazioni, violenza sessuale e saccheggi. Gli sfollati restano inoltre esposti a rappresaglie, poiché percepiti dai gruppi armati attivi nella regione come sostenitori dell'esercito, una volta che quest'ultimo porta a termine le operazioni per liberare i territori e non è più presente.
Nelle ultime settimane, prosegue la nota, l?Unhcr e i partner hanno registrato molteplici attacchi di gruppi armati ai danni di insediamenti di sfollati e villaggi, principalmente nel territorio di Djugu, nell'Ituri, nei territori di Fizi e Mwenga, nella provincia del Sud Kivu, e nei territori di Masisi e Rutshuru, nel Nord Kivu. In queste aree, le violenze hanno costretto alla fuga oltre un milione di persone negli ultimi sei mesi. Nel corso di un attacco perpetrato tra il 17 e il 18 giugno nel territorio di Djugu, due bambini, due uomini e una donna sono stati brutalmente decapitati a colpi di machete, mentre in due villaggi che accolgono sfollati un gruppo armato ha dato alle fiamme oltre 150 case. In un'altra occasione, il 23 giugno, in un solo giorno quasi 5 mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case a causa degli scontri ininterrotti tra due gruppi armati a Mweso, nel Nord Kivu. Gli aggressori hanno saccheggiato le scuole presso cui le persone si erano rifugiate. Attualmente, gruppi armati occupano decine di villaggi. Nel Sud Kivu, un insediamento di sfollati presso Mikenge, nel territorio di Mwenga, è stato attaccato da gruppi armati in due occasioni, a maggio e giugno. Lo stesso sito, in precedenza, era stato utilizzato dai membri di un gruppo armato per nascondersi, mettendone in pericolo il carattere civile, e i residenti non hanno potuto fermare in alcun modo l'azione dei miliziani.
Gli attacchi in corso, denuncia ancora Unhcr, vanno ad aggravare una situazione già complessa segnata dalla presenza di numerosi sfollati nella Rdc orientale ed espongono a rischi elevati le persone in fuga. Questo nuovo esodo, inoltre, mette ulteriore pressione sulle aree che accolgono sfollati interni. I siti di accoglienza non dispongono dei servizi per soddisfare le esigenze più basilari, quali cibo, acqua e assistenza sanitaria. Donne e bambine sono tra le persone più a rischio, considerato che, negli ultimi mesi, il numero di aggressioni e abusi sessuali e di genere nei loro confronti è andato aumentando. Nell'ultimo mese, nelle province di Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu si sono registrati più di 390 casi di violenza sessuale. La maggior parte delle aggressioni sono attribuite a gruppi armati, ma si presume che in molti casi, la responsabilità sia da attribuire a membri dei servizi di sicurezza congolesi. Il perdurare del conflitto sta impedendo alle persone l'accesso effettivo all'assistenza. Gli attacchi ai danni degli ambulatori medici e le razzie di kit per la profilassi post esposizione ? farmaci antiretrovirali per curare le persone potenzialmente esposte all'Hiv ? in particolare stanno ostacolando gli sforzi volti ad assicurare cure mediche ai sopravvissuti e alle sopravvissute.
(Roma, Parigi, 30 gennaio 2022). Ufficiali pesantemente armati pattugliano le strade della capitale
Rimane alta l’allerta a Nairobi per il rischio di possibili attentati, dopo che i governi di Francia e Germania hanno invitato alla prudenza i connazionali residenti in Kenya. Come riferito dal quotidiano keniota “Standard Media” e confermato da fonti locali sui social network, ufficiali pesantemente armati pattugliano attualmente le strade della capitale, mentre la sicurezza è stata rafforzata fuori dai principali uffici del governo, ma anche dagli hotel a 5 stelle, dai centri commerciali e da alcuni edifici privati.
In una nota, l’ambasciata francese a Nairobi ha di recente invitato i cittadini occidentali ad evitare i luoghi di aggregazione degli stranieri – come hotel e centri commerciali – durante questo fine settimana, mentre l’ambasciata tedesca ha pubblicato un’allerta terroristica meno specifica, esortando alla prudenza. Da parte sua, la polizia keniota ha fatto sapere di aver preso sul serio entrambe le segnalazioni e di aver rafforzato la sicurezza nella capitale. Nel 2013, miliziani di al-Shabaab hanno preso d’assalto il centro commerciale Westgate Mall a Nairobi, uccidendo più di 60 persone, mentre un altro attacco contro l’hotel Dusit, a gennaio del 2019, ha provocato 21 morti.
Redazione. (Nova News)