Libano: la popolazione scende di nuovo in piazza, «siamo all’inferno»

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(Roma, 29 novembre 2021). Le strade libanesi sono state teatro di una nuova ondata di mobilitazione popolare, alimentata da una crisi economica e sociale che non accenna a diminuire. “Noi siamo all’inferno” è stato uno degli slogan cantati dalla popolazione scesa in piazza.

In particolare, dalla mattinata di oggi, lunedì 29 novembre, le principali vie d’accesso del Paese mediorientale, da Nord a Sud, sono state bloccate da gruppi di manifestanti, che hanno dato fuoco a pneumatici, rovesciato cassonetti dell’immondizia e versato olio sulle carreggiate, rispondendo agli appelli lanciati sui social media sin dalla sera precedente, il 28 novembre. A Beirut, poi, le scuole sono state costrette a chiudere, vista l’impossibilità di raggiungerle. Una tale mobilitazione ha interessato, in particolare, la capitale e le città di Tripoli e Sidone, oltre che la valle orientale di Bekaa, l’altopiano Nord-orientale di Akkar e altre località minori. Le forze libanesi sono state in grado di riaprire alcune strade, ma i manifestanti si sono detti intenzionati a protestare fino a quando le “autorità corrotte” non abbandoneranno il Paese.

La rabbia della popolazione libanese continua ad essere alimentata da una perdurante crisi economica e finanziaria, ritenuta essere la più grave dalla guerra civile del 1975-1990 e che potrebbe essere classificata tra le peggiori tre registrate a livello internazionale dalla metà del diciannovesimo secolo, secondo la Banca Mondiale. Ad essere stata incolpata per tale situazione è la classe politica al potere, accusata di corruzione e cattiva governance. Sebbene evidente già dal 2019, la crisi è stata ulteriormente esacerbata dalla pandemia di Covid-19 e dall’esplosione che, il 4 agosto 2020, ha devastato il porto di Beirut, provocando 216 morti e ingenti danni materiali.

La lira libanese, la quale, da ottobre 2019, ha perso circa il 90% del suo valore rispetto al dollaro statunitense, nel corso degli ultimi giorni ha raggiunto ulteriori minimi storici, toccando quota 25.100 lire. Nell’autunno 2019, invece, un dollaro costava 1.500 lire. A ciò si accompagna il rincaro di prezzi di beni e servizi di prima necessità, esacerbato dalla revoca dei sussidi, da parte del governo, per carburante e diversi medicinali, rendendoli inaccessibili per alcuni cittadini, in un momento in cui il salario minimo mensile ammonta a circa 27 dollari. Parallelamente, tre quarti della popolazione, pari a quasi 6 milioni di abitanti, tra cui un milione di rifugiati siriani, vivono in uno stato di povertà. A tal proposito, in un rapporto del 3 settembre, ESCWA ha evidenziato un crescente aumento del tasso di povertà in Libano, passato dal 25% del 2019 al 55% del 2020, fino a circa il 74% nell’anno in corso. Non da ultimo, il debito pubblico ha raggiunto, a fine aprile 2021, i 98,2 miliardi di dollari, di cui il 37,2% è denominato in valuta estera. Di quest’ultimo totale, 8 miliardi di dollari sono costituiti da arretrati di pagamento accumulati dal default di marzo 2020.

Un primo segnale positivo è giunto il 10 settembre scorso, con la formazione di un nuovo governo guidato da Najib Mikati, che ha posto a una impasse politica durcata mesi. Tuttavia, le riunioni della squadra governativa sono in una fase di stallo dal 12 ottobre scorso, a causa di divergenze sorte in merito alle indagini sull’incidente del 4 agosto 2020. L’obiettivo principale del gabinetto era la ripresa dei colloqui con il Fondo monetario internazionale (FMI), necessari altresì per sbloccare gli aiuti provenienti dai donatori stranieri. Il 4 ottobre, il Ministero delle Finanze aveva annunciato che i colloqui erano ripresi e che il nuovo esecutivo di Beirut era disposto a portarli avanti. Tuttavia, non è stato ancora raggiunto un accordo su dati finanziari vitali, uno dei prerequisiti per avviare le trattative.

Le precedenti discussioni con il FMI avevano avuto inizio a maggio 2020 e avevano visto protagonista una squadra incaricata dall’allora premier Hassan Diab, a cui era stato chiesto di redigere un rapporto sulle perdite finanziarie del Paese, in crisi dalla fine dell’estate 2019 e in mora di pagamento dei suoi titoli di Stato, eurobond, da marzo 2020. Le trattative si erano, però, interrotte a luglio 2020, a causa di disaccordi sull’ammontare di queste perdite e sulla loro distribuzione tra il governo, da un lato, e il settore bancario e la Banque du Liban (BDL), dall’altro. Durante le prime negoziazioni, Beirut aveva chiesto un prestito di 10 miliardi di dollari.

Nel suo comunicato del 4 ottobre scorso, il Ministero si è detto favorevole a “un accordo su un adeguato piano di risanamento che possa essere sostenuto dal FMI”, volto altresì a beneficiare di “un ampio sostegno da parte della comunità finanziaria internazionale”. La nuova delegazione che guiderà le discussioni con il FMI è stata costituita il 30 settembre e comprende, oltre al ministro delle Finanze, Youssef Khalil, il vice primo ministro, Saadé Chami, quello dell’Economia e del Commercio, Amine Salam, il governatore della BDL, Riad Salamé, e due consiglieri dell Presidente della Repubblica Michel Aoun, Charbel Cordahi e Rafic Haddad.

Di Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)