(Roma, 27 ottobre 2021). Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), mercoledì 27 ottobre, ha espresso la propria condanna per le dichiarazioni del ministro dell’Informazione libanese, George Kordahi, circa il conflitto civile in Yemen e il ruolo delle milizie sciite. Di fronte al possibile riemergere di nuovi contrasti, anche il premier del Libano, Najib Mikati, ha respinto le dichiarazioni di Kordahi, auspicando a relazioni migliori con Riad.
In particolare, nel corso di un’intervista televisiva registrata nel mese di agosto scorso, quando Kordahi non era ancora membro dell’esecutivo, e trasmessa il 26 ottobre su social network legati ad al-Jazeera, al ministro libanese è stata fatta una domanda riguardante il conflitto civile yemenita e il relativo ruolo delle milizie sciite Houthi. In particolare, è stato chiesto quale fosse la differenza tra i ribelli in Yemen e il gruppo paramilitare sciita di Hezbollah attivo in Libano, entrambi sostenuti dall’Iran. Nella sua risposta, Kordahi ha affermato che gli Houthi agiscono per “autodifesa” e che non dovrebbero essere considerati “aggressori”, in quanto questi mirano semplicemente a difendersi da attacchi esterni, perpetrati “nelle proprie abitazioni, durante funerali e matrimoni”, e che, in realtà, non attaccano nessuno.
Poco dopo la diffusione dell’intervista, il ministro dell’Informazione, della Cultura e del Turismo yemenita, Moammar al-Eryani, ha esortato Beirut a prendere una “posizione chiara” sulla questione, alla luce di un possibile danno alle relazioni libanesi-saudite a seguito delle dichiarazioni. Parallelamente, il GCC, un’organizzazione internazionale regionale che unisce Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (UAE), Qatar, Bahrein, Kuwait e Oman, ha affermato: “Le osservazioni del ministro dell’Informazione libanese riflettono una comprensione inadeguata e una lettura superficiale (del conflitto yemenita) che rifiutiamo”. Inoltre, per tale organizzazione, Kordahi ha ignorato i tentativi degli Houthi di ostacolare le soluzioni proposte per porre fine allla guerra in Yemen, gli attacchi contro i territori sauditi così come gli impedimenti posti alla popolazione per accedere agli aiuti umanitari. Alla luce di ciò, “il ministro dovrebbe scusarsi e lo Stato libanese chiarire la propria posizione in merito”, ha dichiarato Nayef al-Hajraf, segretario generale del GCC.
La risposta di Beirut non si è fatta attendere. Già nella sera del 26 ottobre, il primo ministro Mikati ha ribadito il suo impegno per instaurare “relazioni fraterne” tra il Libano e i Paesi arabi, come già affermato nella dichiarazione ministeriale presentata in Parlamento al momento del giuramento. Come chiarito dal premier, Kordahi ha rilasciato le contestate dichiarazioni “alcune settimane prima di assumere il suo incarico ministeriale”. Ad ogni modo, il presidente del Consiglio ha espresso il proprio rifiuto per le affermazioni del ministro dell’Informazione, le quali non riflettono la posizione del governo di Beirut, soprattutto per quanto riguarda il conflitto in Yemen, i rapporti con i Paesi arabi e il Consiglio di cooperazione del Golfo. “Vogliamo avere le migliori relazioni possibili con il Regno saudita e condanniamo qualsiasi interferenza nei suoi affari interni, da qualunque parte provenga”, ha poi dichiarato Mikati nella mattina del 27 ottobre, dopo essere stato ricevuto dal presidente Michel Aoun, evidenziando altresì il desiderio del proprio Paese di allontanarsi da conflitti regionali.
Dopo la diffusione del video, anche Kordahi ha difeso i propri commenti su Twitter, affermando che l’intervista risale al 5 agosto, più di un mese prima della sua nomina alla guida del Ministero dell’Informazione. “Non intendevo, in alcun modo, offendere il Regno dell’Arabia Saudita o gli UAE, per i quali nutro la massima devozione”, ha dichiarato il ministro, il quale ha poi fatto riferimento a una presunta campagna diffamatoria messa in atto da persone note, che starebbero agendo contro di lui sin dal suo ingresso al governo. Ad ogni modo, Kordahi ha ribadito la propria idea secondo cui la guerra in Yemen è “assurda”, e si è detto speranzoso circa un risvolto positivo a seguito dei suoi commenti.
Non è la prima volta che Beirut si trova ad affrontare situazioni simili. In particolare, a maggio scorso, diversi Stati hanno mostrato opposizione alle dichiarazioni del ministro degli Esteri dell’allora governo custode del Libano, Charbel Wehbe, il quale aveva accusato i Paesi del Golfo di essere responsabili dell’ascesa dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. L’Arabia Saudita, da parte sua, ha convocato l’ambasciatore libanese a Riad, mentre, il 19 maggio, il ministro Wehbe ha chiesto di essere esonerato dal suo incarico. Secondo alcuni, dichiarazioni simili avrebbero rappresentato una risposta alle affermazioni di un ospite saudita della trasmissione in cui Wehbe aveva parlato, che aveva accusato Michel Aoun di aver ceduto il proprio Paese al movimento sciita Hezbollah. Altri, invece, hanno evidenziato come le accuse di Wehbe contro i vicini del Golfo potessero essere conseguenza del loro mancato aiuto al Libano, un Paese caratterizzato da una crescente e perdurante crisi economica e finanziaria.
Ad ogni modo, i rapporti tra Beirut e Riad sono tesi da diversi anni, soprattutto a causa della crescente influenza di Hezbollah, alleato dell’Iran, nella scena politica libanese. In tale quadro si colloca altresì la mossa del Regno del Golfo del 25 aprile scorso, data in cui l’Arabia Saudita ha deciso di vietare l’import di frutta e verdura dopo aver sventato un tentato contrabbando di 5,3 milioni di pillole Captagon presso il porto di Gedda, dove le sostanze stupefacenti erano state poste in casse che avrebbero dovuto contenere melograni.
Di Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)