(Roma, 23 ottobre 2021). Francia e Turchia, benché condividano la partnership nella Nato, sono ormai diventati avversari “strategici”. L’anno scorso vi avevamo raccontato di come Parigi, approfittando del riacutizzarsi della tensione tra Ankara e Atene, abbia assunto un ruolo chiave nel Mediterraneo Orientale appoggiando apertamente la Grecia. Oltre a non far mancare il suo sostegno diplomatico, l’Eliseo sta prendendo una serie di provvedimenti in sostegno di Atene per sbilanciare i rapporti di forza in quel settore e ridimensionare le ambizioni turche. Era stato infatti annunciato un piano di miglioramento delle forze armate elleniche comprendente la vendita di sistemi d’arma francesi come cacciabombardieri Rafale, fregate, elicotteri ma anche armi anticarro, missili e siluri.
Gli obiettivi di Erdogan
Nella precedente analisi ci eravamo soffermati su come Parigi, più di Roma, temesse l’ingerenza di Ankara in Medio Oriente e in alcuni teatri dell’Africa centro-orientale che storicamente hanno sempre fatto parte della sua sfera di influenza post-coloniale. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan, infatti, ha avviato da tempo una politica volta a riportare la Turchia al di fuori dell’ambito strettamente continentale, che la vedeva relegata alla penisola anatolica sin dalla fine della Prima Guerra Mondiale, per ottenere una dimensione – e una proiezione – più regionale in modo da acquisire una sempre maggiore egemonia nel mondo islamico più prossimo, considerato non solamente dal puro punto di vista religioso – che nella narrazione di Erdogan è comunque importante – ma visto principalmente come una macroarea politica-commerciale di grande importanza.
L’attrito con l’Eliseo si spiega in funzione di questa strategia “di espansione”, ma riguarda la sovrapposizione delle rispettive sfere di influenza. Guardando su una mappa la posizione delle forze francesi rispetto a quelle turche, risulta subito evidente come nell’ultimo decennio Ankara sia penetrata in alcuni settori che storicamente fanno parte del mondo francofono o comunque legato ad interessi francesi.
Siria, Corno d’Africa e Libia però non rappresentano gli unici scenari dove la Turchia si sta inserendo entrando in contrasto con la Francia. Anche il settore nord-occidentale dell’Africa, il Maghreb, è diventato un teatro dove i due Paesi si trovano su fronti opposti e dove potenze “extra area” – la Russia principalmente – assumono un ruolo chiave in questa dinamica.
Per chiarire quanto sta avvenendo è bene partire dai rapporti tra Parigi e Algeri, che si sono fatti tesi a tal punto, per una questione legata alla guerra d’indipendenza, da portare a una vera e propria crisi diplomatica caratterizzata dal divieto di sorvolo del territorio algerino per i velivoli militari francesi, che sono impegnati nel supporto al contrasto dell’attività terroristica nel Sahel con le operazioni Barkahne (in via di risoluzione), ma soprattutto con la Task Force Takuba, a cui recentemente si è unita anche la Lituania.
Il rischio della tra Parigi e Algeri
L’attuale crisi franco-algerina non è da sottovalutare: l’ulteriore allontanamento di Algeri da Parigi sta comportando, inevitabilmente, il suo guardare alla Russia: il generale Said Chengriha, capo di stato maggiore algerino, era già stato in visita a Mosca a giugno. Il Cremlino ha, da decenni, rapporti di amicizia con Algeri: nelle forze armate algerine sono presenti assetti aerei e navali made in Russia, e non si lascerà scappare l’occasione di stringere ulteriormente questi legami per avere una maggiore presenza nell’Africa Settentrionale e in Sahel, dove sappiamo che lo stesso Mali vorrebbe la presenza dei contractor del Gruppo Wagner per combattere il terrorismo.
Oltralpe c’è chi si preoccupa di quella che Le Monde definisce “cecità del presidente francese” nel Maghreb, che si ritiene derivante direttamente dall’errata politica seguita in Libia durante i primi tre anni del suo mandato. Il decisivo sostegno francese a Khalifa Haftar, che lo ha portato a rilanciare la guerra civile nel 2019, ha messo la Francia dallo stesso lato della barricata di Emirati Arabi Uniti, Russia, Egitto e Arabia Saudita, ma soprattutto ha spinto il governo di Tripoli nelle braccia della Turchia, il cui intervento ha ribaltato la situazione militare. Intervento turco caldeggiato anche da Washington, che vede Ankara come un contrappeso perfetto per contrastare Mosca in quel settore, nel quadro del suo generale disimpegno dall’area del Mena per concentrarsi nell’Indo-Pacifico.
La stampa francese critica quella che definisce “una forma di indulgenza verso le mire russe in Nord Africa”, affermando che dovrebbero essere il punto principale invece di contrastare le ambizioni turche, percepite come fondamentalmente ostili. Abbiamo già visto i legami tra Mosca ed Algeri, e proprio da questo punto di vista vale la pena sottolineare come sempre il generale Chengriha, durante la sua ultima visita nella capitale russa, abbia attaccato con forza il Marocco e la “ingerenza straniera”, alludendo alla Francia. Ci si chiede, pertanto, perché l’Eliseo non citi la Russia nella sua diatriba con l’Algeria, anche in considerazione della questione maliana legata ai “mercenari” russi.
Il peso di Abu Dhabi
Turchia che, però, intesse la sua trama proprio in funzione “anti-francese”: la prossima visita del presidente Abdelmadjid Tebboune nella capitale turca segnerà una sorta di culmine nelle relazioni algerino-turche che quasi sicuramente vedranno la Turchia proporsi come mediatore nella questione marocco-algerina per cercare di scalzare la presenza degli Emirati Arabi Uniti (avversari di Ankara). Abu Dhabi è infatti un altro attore “extra regionale” che, già presente in Libia sostenendo Tobruk, sta cercando di espandere la sua influenza nel Maghreb: a seguito della “battuta d’arresto” in Libia, gli Eau hanno cercato di guadagnare terreno sabotando l’esperienza democratica in Tunisia. Le pressioni di Abu Dhabi, così come quelle del Cairo, hanno infatti giocato un ruolo chiave nella decisione del presidente Kais Saied lo scorso luglio di “sospendere” il processo costituzionale nel Paese.
Quanto al Marocco la longa manus emiratina ne ha incoraggiato la normalizzazione con Israele, in cambio del riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump della sovranità di Rabat sul Sahara occidentale. La Turchia, però, non resta confinata al Maghreb e al Medio Oriente: Ankara sta allargando il raggio d’azione della sua sfera di influenza anche all’Africa Occidentale. Lo sviluppo della cooperazione militare tra gli Stati del Golfo di Guinea e la Turchia è stato infatti al centro della visita del presidente Erdogan in Angola, Nigeria e Togo dal 17 al 20 ottobre. La tournée africana del capo di Stato turco è anche il preludio al terzo vertice Turchia-Africa che si terrà ad Istanbul il 17 e 18 dicembre che vedrà la partecipazione di più di trenta nazioni africane a dimostrazione della grande attenzione di Ankara verso il continente africano.
Questo, forse, spiega la particolare “ossessione” dell’Eliseo per la Turchia, ma non giustifica la scarsità di attenzione alla presenza russa (ed emiratina), che, prevedibilmente, ha portato Washington a considerare Ankara come l’unico attore in grado di contrastarla e quindi, paradossalmente, ne ha determinato un conseguente maggiore peso nell’area del Nord Africa. Proprio quello che Parigi vorrebbe evitare.
Di Paolo Mauri. (Inside Over)