(Roma, 14 settembre 2021). La “presenza illegittima” delle “forze armate straniere” in Sira non permette al Paese arabo di muoversi verso la strada della stabilità, dopo che gli sforzi congiunti di Mosca e Damasco nel contrasto “ai terroristi” hanno portato il governo siriano a “controllare oltre il 90 per cento del territorio”. Lo ha affermato il presidente russo, Vladimir Putin, nell’incontro avuto ieri sera a Mosca con l’omologo siriano, Bashar al Assad. Si tratta del primo incontro ufficiale che si tiene a Mosca tra i due capi di Stato dal 2015. L’ultimo incontro tra Putin e Assad in Russia è avvenuto nel 2018 a Sochi, mentre i due capi di Stato si sono incontrati a Damasco a gennaio 2020.
“Il principale problema, a mio modo di vedere, è che dopo tutto le forze armate straniere sono presenti in alcuni territori del Paese senza una decisione delle Nazioni Unite”, ha affermato Putin parlando di una situazione che chiaramente “contraddice il diritto internazionale” e non dà alla Siria “l’opportunità di fare i massimi sforzi per consolidare il Paese e muovervi lungo un sentiero di ripresa ad un ritmo che sarebbe possibile se l’intero territorio fosse controllato dal governo legittimo”. “I nostri sforzi congiunti hanno liberato la grande maggioranza del territorio della Repubblica siriana. I terroristi hanno sofferto danni molto seri e significativi, e il governo siriano, da te guidato, controlla il 90 per cento del territorio”, ha dichiarato Putin rivolgendosi ad Assad.
Il presidente russo ha riconosciuto che ci sono ancora alcune aree di resistenza da parte dei terroristi in Siria, “che non solo controllano alcune parti di territorio, ma che continuano anche a terrorizzare i civili”. “In ogni caso i rifugiati stanno attivamente tornando nelle aree liberate”, ha affermato Putin. Da parte sua, il presidente siriano ha elogiato i risultati raggiunti nella lotta al terrorismo grazie agli sforzi congiunti di Russia e Siria. “I nostri due Eserciti, quello russo e quello siriano, hanno raggiunto risultati significativi non solo nella liberazione dei territori occupati dai terroristi, nella distruzione del terrorismo, ma hanno anche contribuito al ritorno dei rifugiati che erano stati costretti a lasciare le loro case”, ha evidenziato Assad. L’intervento della Russia, dopo lo scoppio della guerra nel 2010, ha aiutato il governo di Damasco ha riconquistare progressivamente gran parte delle aree sotto il controllo dell’opposizione. La Russia ha stabilito una base aerea nella città costiera siriana di Khmeimim nel settembre 2015, che ha sostenuto le operazioni dell’esercito siriano contro alcuni gruppi terroristici appartenenti ad Al Qaeda (fronte Al Nusra) e contro lo Stato islamico. Il presidente Assad, recentemente riconfermato alla guida del Paese, ha definito le sanzioni imposte da alcuni paesi alla Siria come “disumane” e “illegali”.
Durante l’incontro, Assad e Putin hanno discusso anche della cooperazione bilaterale e delle misure per ampliarla e svilupparla per raggiungere interessi comuni, oltre che degli ultimi sviluppi regionali, ha riferito la presidenza siriana. Il vertice, iniziato con un lungo incontro bilaterale tra i due presidenti, è stato successivamente allargato alla partecipazione del ministro degli Esteri siriano, Faysal Miqdad, e dal ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, che hanno discusso della cooperazione congiunta tra gli eserciti dei due Paesi nella lotta al terrorismo e del completamento della liberazione dei territori ancora sotto il controllo di organizzazioni considerate terroristiche. Il colloquio si è concentrato anche sul processo politico, a proposito del quale le parti hanno sottolineato l’importanza di completare i lavori al riguardo al fine di raggiungere un consenso tra le parti siriane senza alcuna interferenza esterna.
Uno degli ultimi esempi di cooperazione tra Mosca e Damasco si è concretizzata con l’attuazione di una road map russa per la risoluzione della crisi nel governatorato di Dara’a, nel sud della Siria. Vale la pena ricordare che l’area in questione ha una rilevanza strategica cruciale per lo Stato siriano, specialmente in vista del progetto energetico – in corso di discussione in questi giorni – che prevedrebbe l’esportazione di gas naturale egiziano ed energia elettrica giordana attraverso il territorio della Siria in direzione del Libano e del Mediterraneo. Proprio ieri le forze del governo siriano sono entrate nella città di Al Yaduda, nella stessa provincia, accompagnate da una pattuglia della polizia militare russa e da membri del Comitato centrale che rappresenta la popolazione locale. Lo riferisce un attivista locale, Abu Mahmoud al Hourani, al quotidiano panarabo “Al Arabi al Jadid”. Le forze hanno “aperto un centro per regolare la situazione dei giovani ricercati e disertori nella città, in attuazione di un accordo raggiunto il giorno precedente, domenica, con i notabili della cittadina”, ha proseguito Hourani. L’accordo prevede l’ingresso di una forza militare nella cittadina, l’ispezione delle abitazioni e la discussione di una soluzione per i disertori e ricercati presenti a Yaduda.
L’intesa tra ribelli e governo mediata dai russi dovrebbe prevedere fra l’altro misure come la consegna di tutte le armi leggere, il dispiegamento di nove postazioni militari e lo svolgimento di ispezioni nei quartieri residenziali, oltre all’espulsione verso non meglio precisate “altre aree” di tutti i cittadini contrari all’intesa e il ritiro dei rinforzi militari dai dintorni della cittadina. Dopo una prima “road map” presentata lo scorso 15 agosto dalla Russia, che prevedeva l’espulsione verso il nord della Siria dei cittadini ribelli e la consegna delle armi, le trattative si sono arenate per qualche giorno. Sabato 4 settembre, il portavoce del Comitato centrale di Dara’a, Adnan al Masalmeh, ha dichiarato di aver chiesto al rappresentante russo nel sud della Siria il trasferimento in Turchia, previa approvazione da parte del governo di Ankara; secondo il portale siriano “Enab baladi”, vicino all’opposizione ad Assad, i clan di Dara’a el Balad hanno invece chiesto al re giordano, Abdullah II, di intervenire per fermare le operazioni militari nel quartiere, abitato da più di 50 mila persone, e in caso di fallimento di facilitare l’apertura di un corridoio umanitario per gli sfollati verso la Giordania.
Redazione. (Nova News)