(Roma, 21 agosto 2021). Per ora i talebani hanno offerto al mondo solo promesse. La promessa di un trattamento inclusivo per le donne, purché ligie alla sharia talebana. La promessa di un’amnistia per gli ex ufficiali del governo di Kabul senza violenti spargimenti di sangue. E infine la promessa che l’Afghanistan non torni ad essere un “paradiso” per i terroristi, leggi alla voce Al Qaeda e Stato Islamico.
Un programma, quello talebano, ambizioso e volto a convincere la comunità internazionale che non ci saranno pericoli per il futuro del paese e che non ci vedranno le stesse scene del primo emirato talebano sorto nel 1996. Eppure i primi segnali non sono incoraggianti. Basti solo pensare alle repressioni di Asadabad e Jalalabad. Ma è sul fronte della lotta al terrore, il vero obiettivo della guerra ventennale secondo il segretario di Stato Usa Antony Blinken, che si giocherà il futuro della nuova leadership che comanda ora Kabul.
I primi segnali inquietanti
Come hanno spiegato alcuni funzionari a Cbs News qualche giorno fa, nella loro avanzata i talebani hanno preso il controllo della base aerea di Bagram e liberato gli oltre 5 mila prigionieri ospitati lì, tra questi, ha notato Politico, non solo miliziani talebani, ma anche uomini di Al Qaeda e dell’Isis. A questo proposito il Pentagono ha lanciato l’allarme sulla possibilità che le reti terroristiche con sede nel Paese possano riacquisire margine di manovra e potere in tempi rapidi. John Kirby, portavoce del segretario alla Difesa Austin ha detto che tutto il dipartimento è al lavoro per rivalutare il potenziale terroristico dei vari gruppi. Nell’aprile scorso un report dell’intelligence americana ha messo nero su bianco come nonostante gli sforzi dell’anti terrorismo Al Qaeda continui a progettare attentati contro interessi e personale americano.
Intanto la creatura di Osama Bin Laden mostra segni preoccupanti di risveglio. Nei giorni scorsi Hurras al Din, ultima emanazione qaedista in Siria ha colpito Damasco con un violento attentato uccidendo 19 militari siriani e dimostrando di essere capace di complire al di fuori della regione di Idlib. Parallelamente le autorità indiane hanno detto di aver aumentato la sicurezza negli aeroporti per un possibile attentato proveniente da Al Qaeda. In più in questi giorni Aqap, il braccio yementa dell’organizzazione si è apertamente complimentato coi talebani per il successo contro gli americani.
Nel frattempo il dipartimento del tesoro Usa si è mosso per sanzionare due uomini legati rispettivamente ad Al Qaeda e Tahrir al-Sham, altra formazione attiva in Siria. Uno dei due sarebbe Hasan al-Shaban indicato come il “facilitatore finanziario di Al Qaeda in Turchia”. Secondo il Tesoro americano per i conti di al-Shaban passavano flussi di denaro per sostenere gli sforzi dell’organizzazione terroristica. Quei conti bancari, si legge nelle carte americane, sono stati usati dai miliziani “per coordinare il momento di denaro dai soci in Nord Africa, Europa occidentale e Nord America”. Non solo. Al-Shaban sarebbe l’uomo di collegamento dell’organizzazione in Asia minore. Un nodo al quale potrebbe presto aggiungersi di nuovo l’Afghanistan.
Cosa resta di Al Qaeda
Oggi “la base” è un’organizzazione molto diversa da quella che nel 2001 colpì il World Trade Center e il Pentagono e per capirlo dobbiamo guardare ai numeri. Stando ad alcune stime del Soufan Center si aggirerebbero tra le 30 e 40 mila unità sparse per tutto il mondo. Questo numero è indicativo di come la struttura stessa dell’organizzazione sia cambiata. Per sopravvivere alla campagna americana dopo l’11 settembre l’organizzazione ha rinforzato le sue radici in tutta la regione. Poi il 2011, anno della primavera araba, ha accelerato il processo facendo sì che l’organizzazione si è concentrasse di più sulle insurrezioni locali e il nemico vicino, ad esempio con il grande conflitto siriano. Parallelamente i vari rami locali, da quello attivo nel Maghreb a quello nella Penisola Arabica, hanno acquisito più potere di fatto svuotando la struttura centrale.
L’ultimo Bin Landen, poco prima della sua uccisione per mano degli americani nel maggio del 2011, aveva dato ordine di evitare conflitti aperti e di insinuarsi nelle amministrazioni locali. Come spiga sempre il Soufan Center mentre il mondo si concentrava sull’avanzata del Califfato, Al Qaeda ha potuto lavorare alla sua rete globale. Emblematico in questo senso l’opera di AQIP in Yemen, dov’è stata capace di controllare intere fette del territorio rapportandosi con la popolazione locale.
Il legame coi talebani
Ora questa opera di diffusione può continuare anche in Afganistan. Secondo un funzionario americano sentito dal Financial Times non ci sarebbero prove di una rottura tra i talebani e l’organizzazione ora guidata da Ayman Al Zawahiri. Negli ultimi giorni diversi giornali hanno rispolverato un dossier redatto dall’Onu a luglio e basato sui rapporti dei servizi segreti di diversi stati membri. Secondo il documento Al Qaeda sarebbe presente in almeno 15 province afgane e che Aqis, al-Qaeda nel subcontinente indiano godrebbe della protezione talebana nei distretti di Kandahar, Helmand e Nimruz.
Ma quel dossier dice anche molto altro. A febbraio a Doha, in Qatar, americani e talebani stavano negoziando il passaggio di consegne e come condizione principe c’era quella di non concedere asilo a gruppi terroristici, condizione accettata, e ribadita negli ultimi giorni dagli eredi del Mullah Omar. Peccato però che in quello stesso frangete i talebani consultassero regolarmente Al Qaeda durante il lungo negoziato. Contatti avvenuti per lo più tramite gli intermediari della Rete Haqqani, in modo che non ci fossero collegamenti diretti tra la leadership di Abdul Ghani Baradar e i qaedisti.
La leadership di Al Qaeda, si legge ancora tra le carte delle Nazioni Unite, “rimane presente in Afghanistan, così come centinaia disperativi armati. Le relazioni tra i talebani e al-Qaeda rimangono strette, basate sull’amicizia, una storia di lotte condivise, simpatia ideologica e matrimoni misti”. Quasi una fusione tra i due gruppi. Come nota l’Ispi non è un caso infatti se tra il 2019 e 2020 due importanti figure di Al Qaeda siano state uccise proprio in Afghanistan, nella provincia di Ghazni. Stiamo parlando di Hamza Bin Laden, figlio del fondatore ucciso da un drone usa due anni fa e Abu Muhsin al Masri tra i fondatori dell’organizzazione giustiziato l’anno scorso.
Alla base di questo “matrimonio” la strategia americana nelle primissime fasi del conflitto in Afghanistan. Come ha notato il Guardian, uno degli errori è stato quello di sovrapporre le cellule di Al Qaeda ai talebani, il primo un organismo dedito a compiere attentati contro l’Occidente, il secondo un gruppo di fondamentalisti religiosi fortemente connotati etnicamente e interessanti al controllo del territorio. In questo modo le due entità si sono avvicinate ancora di più rispetto a quando Bin Landen arrivò nel Paese nel 1996 tanto che i talebani hanno via via aumentato la consapevolezza globale grazie alle conoscenze di Al Qaeda, come l’uso della propaganda ben evidente in questi giorni.
Per tutto il periodo della contro-insurrezione talebana successivo all’invasione americana i due gruppi si solo legati sempre di più. Grazie alla vasta rete tra Afghanistan e Pakistan, Al Qaeda ha ridisegnato nel tempo il campo di battaglia aiutando i talebani a mantenere il controllo delle storiche roccaforti e accettando un ruolo sussidiario. In questo modo ha conquistato la fiducia dei talebani ricevendone in cambio supporto nel 2015 quando gli eredi del Mullah Omar fornirono rifugio a diversi miliziani in fuga dai “santuari” del vicino Waziristan, in Pakistan. Miliziani che poi hanno offerto formazione e addestramento agli stessi talebani.
La guerra e la gestione dei rapporti con le popolazioni locali da parte delle forze occidentali hanno quindi saldato queste due realtà, tanto che gli analisti del Soufan Center si spingono a dire che il successo talebano debba molto all’apporto logistico di Al Qaeda. L’addio statunitense del Paese era certo, ma il modo in cui è avvenuto rischia di forgiare una nuova narrativa molto pericolosa. Così come il successo dei mujaheddin contro i sovietici negli anni ’80 aveva inaugurato il mito del jihad e di fatto permesso la nascita di Al Qaeda, la ritirata caotica dell’agosto 2021 verrà usata per ridare slancio alla propaganda qaedista come prova di una forza in grado di abbattere una superpotenza.
Cosa può succedere ora
È difficile ora stabilire cosa possa succedere. Gli scenari che si aprono ora sono comunque tutti molto preoccupanti. Difficilmente Al Qaeda verrà espulsa dal Paese dato il rapporto simbiotico coi talebani, ma allo stesso tempo è probabile che tutto continuare nell’ombra. I nuovi padroni di Kabul hanno bisogno di presentarsi come affidabili agli occhi del mondo, vedi la conferenza stampa conciliante, per questo difficilmente ci saranno sovra esposizioni. John Sawers, ex capo dell’MI6 britannico, si dice convinto che almeno per ora i talebani “non vorranno che l’Afghanistan diventi il luogo da cui viene pianificato o diretto il terrorismo internazionale”, quindi si punterà sul mantenere un basso profilo.
Quello che è certo è che presto potrebbero scarseggiare le informazioni. Diversi funzionari americani hanno ammesso che il ritiro accelerato delle forze militari e degli operativi della Cia dal Paese ha limitato la raccolta di informazioni in tutto l’Afghanistan. Per questo tutto diventa più nebuloso. Intanto è ipotizzabile che molti operativi fuggiti dopo l’invasione americana rientrino nel Paese come Saif al Adel, uno dei primi ad unirsi ad Al Qaeda e tra i papabili per la successione di Ayman al-Zawahiri alla guida del gruppo.
Alberto Bellotto. (Inside Over)