Siria: Daraa, la situazione precipita

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(Roma, 31 luglio 2021). La provincia di Daraa, nel Sud della Siria, è stata teatro di una violenta escalation, durante la quale hanno perso la vita almeno 11 civili. Al momento, i negoziati tra i gruppi locali e le forze siriane filogovernative, mediati dalla Russia, sono ancora in corso.

La Difesa civile siriana, un’organizzazione umanitaria altresì nota con il nome di “Caschi bianchi”, ha parlato di una possibile “catastrofe umanitaria”, provocata dalla “escalation militare” condotta dall’esercito siriano, affiliato al presidente Bashar al-Assad, e dal suo alleato russo. Le tensioni si sono acuite il 29 luglio, quando almeno 11 civili sono stati uccisi a seguito dei violenti scontri e degli attacchi registrati nella regione di Daraa. Tra i diversi episodi, colpi di artiglieria, lanciati dalle forze di Damasco, hanno colpito il villaggio di al-Yadudah, uccidendo una donna e 4 minori. Secondo la Difesa civile, gli attacchi perpetrati contro tale villaggio hanno causato, in totale, 18 vittime civili, il 29 luglio. Al contempo, circa 8 membri dell’esercito damasceno e 7 uomini armati affiliati ad ex gruppi dell’opposizione hanno perso la vita durante quelli che sono stati descritti dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR) come gli “scontri più feroci” da quando il governo di Assad ha preso il controllo di Daraa, nel 2018. Stando a quanto comunicato dal SOHR, al 30 luglio il bilancio delle vittime è salito a quota 28. In tale giornata, Daraa è stata testimone di una relativa tregua, seppur con scontri intermittenti.

Le tensioni del 29 luglio sono scoppiate quando le forze siriane, in contemporanea con un’offensiva via terra, hanno sparato colpi di artiglieria verso Daraa al-Balad, un distretto meridionale di Daraa, posto sotto il controllo di ex gruppi dell’opposizione. In risposta, uomini armati locali hanno lanciato un contrattacco nella periferia di Daraa, e, a detta del SOHR, sono riusciti a conquistare diverse postazioni delle forze filogovernative e a catturare oltre 40 soldati. Per Damasco, la propria operazione militare mirava a contrastare quei “terroristi” che hanno ostacolato un “accordo di riconciliazione”.

Il riferimento va all’intesa raggiunta nella sera del 25 luglio da delegati del governo siriano e membri del Comitato centrale di Daraa, volta a evitare, secondo i notabili locali, “spargimenti di sangue”. Oltre a stabilire la formazione di un comitato congiunto per favorire il reinsediamento di circa 135 giovani e ricercati residenti nella zona, gli abitanti di Daraa hanno accettato di consegnare le armi individuali richieste dall’esercito siriano, in cambio della fine delle “operazioni provocatorie” di Damasco. Inoltre, è stata concordata la riapertura dei valichi chiusi nelle settimane precedenti, e il divieto per le forze di Assad di schierarsi in alcuni punti della regione, tra cui Daraa al-Balad.

L’accordo è giunto dopo che, per circa 28 giorni, le forze filogovernative hanno assediato l’area di Daraa al-Balad, impedendo l’ingresso di soccorsi e aiuti umanitari, destinati a circa 11.000 famiglie. Si trattava di una “misura punitiva” derivante dal rifiuto della popolazione di questi quartieri di partecipare alle ultime elezioni presidenziali. Secondo alcuni, obiettivo del governo siriano era convincere la popolazione di Daraa a consegnare le armi, sia pesanti sia leggere, in loro possesso, al fine ultimo di scongiurare nuove ondate di mobilitazione. In cambio, Damasco aveva riferito che avrebbe ritirato le “commissioni armate locali” ad essa affiliate.

L’intesa, però, non ha portato ai risultati auspicati e le parti coinvolte hanno continuato a tenere negoziati, mentre circa 10.000 civili sono stati costretti a sfollare verso aree “più sicure”.  La situazione ha destato preoccupazione a livello internazionale. Il Ministero degli Esteri francese, il 30 luglio, ha condannato l’attacco del giorno precedente, il quale, secondo Parigi, ha messo in luce la necessità di un processo politico inclusivo, “basato sulla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza”, per riportare stabilità in Siria. Anche gli USA si sono detti “molto preoccupati” per quanto accade a Daraa, con riferimento sia agli scontri sul campo e alle vittime civili provocate sia alle condizioni imposte contro gli abitanti locali da parte del governo siriano. Pertanto, anche Washington ha esortato Assad a cooperare nel rispetto della Risoluzione 2254, che prevede una soluzione politica e una nuova Costituzione.

L’area di Daraa è nota per essere stata la culla della rivoluzione in Siria, che ha avuto inizio il 15 marzo 2011 ed è tuttora in corso. In particolare, è qui che alcuni giovani ribelli avevano scritto su un muro uno dei primi slogan antiregime, tra cui “È il tuo turno, dottore”, con riferimento al presidente siriano Assad. Risale al mese di luglio 2017 l’accordo per il cessate il fuoco a Daraa, Quneitra e Suweida, in cui parteciparono anche Stati Uniti, Russia e Giordania. Combattenti e famiglie locali hanno poi evacuato l’area nel mese di luglio 2018, dopo settimane di violenti bombardamenti, seguiti da un accordo di resa con il regime siriano e la Russia.

Diversamente da altre zone circostanti, ritornate, nel corso del tempo, nelle mani del regime, l’esercito di Assad non ha dispiegato le proprie forze nell’area, facendo affidamento su alleati presenti sul posto per garantire la sicurezza della provincia. Numerosi combattenti dell’opposizione sono, però, rimasti nel governatorato, mantenendo il controllo di vaste aree rurali a Sud, Est ed Ovest. Alcuni cooperano con le istituzioni statali, altri si sono uniti al contingente dell’esercito del regime appoggiato dalla Russia. Nonostante l’accordo, sin dal 2018, Daraa è stata teatro di agguati, oltre che di omicidi e attentati che hanno preso di mira civili e personale militare, sia dalle forze di Assad sia da coloro che in precedenza lavoravano all’interno dei gruppi di opposizione. Fonti per i diritti umani del Sud della Siria affermano che il governatorato di Daraa è stato testimone di circa 30-60 omicidi al mese.

Al momento, secondo alcuni analisti, Damasco starebbe provando a compromettere l’accordo del 2018, nel tentativo di “imporre un fatto compiuto”. La regione meridionale era stata oggetto di nuove tensioni già tra gennaio e febbraio 2021. Queste avevano portato il governo siriano a minacciare un’operazione militare, nel caso in cui i gruppi locali di Daraa non avessero accettato le sue richieste, ovvero deporre le armi e trasferire cittadini, perlopiù ex combattenti dei gruppi di opposizione, verso Idlib, la regione del Nord-Ovest siriano tuttora controllata dalle fazioni ribelli. Poi, l’8 febbraio le due parti hanno raggiunto un’intesa che ha scongiurato una nuova escalation.

Tali sviluppi si inseriscono nel quadro del perdurante conflitto siriano, in corso oramai da circa dieci anni. Questo è scoppiato il 15 marzo 2011, quando parte della popolazione siriana ha iniziato a manifestare e a chiedere le dimissioni del presidente siriano, Assad. L’esercito del regime siriano è coadiuvato da Mosca, oltre ad essere appoggiato dall’Iran e dalle milizie libanesi filoiraniane di Hezbollah. Sul fronte opposto vi sono i ribelli, i quali ricevono il sostegno della Turchia.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)