Joe Biden verso l’appoggio a un esercito europeo ?

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FILE - In this Friday, May 13, 2011 file photo, Soldiers of 1AD attend a color casing ceremony of the First Armored Division at the US Army Airfield in Wiesbaden, Germany. The governors of the four German states that are home to critical U.S. military facilities are urging members of U.S. Congress to try and force President Donald Trump to back down from plans to withdrawal more than a quarter of American troops from the country. (AP Photo/Michael Probst, file)

(Roma, 13 giugno 2021). Se ci fosse un momento in cui Washington potrebbe desiderare un’Europa militarmente forte e più indipendente dall’ombrello americano probabilmente sarebbe proprio questo: in un quadro geopolitico come quello attuale, l’idea di un vero esercito europeo sembra rinfocolarsi proprio in occasione del tour del neopresidente americano Biden in Europa. L’idea di una forza armata comune e indipendente è naufragata più volte nelle stanze dell’Unione, a partire dalla Comunità Europea di Difesa (Ced): nel 1954, nonostante strenui incitamenti da parte dell’amministrazione Eisenhower per la costituzione di un pilastro difensivo europeo libero da vincoli che integrasse il carattere atlantico della Nato, la proposta della Ced andò in fumo per via delle resistenze della Francia.

Le pressioni su Biden

Da più parti, oggi, il presidente Biden sembra essere pressato da agenzie e think tank a incoraggiare l’Ue a sviluppare capacità militari forti, distaccandosi da decenni di opposizione all’integrazione della difesa dell’Unione, esercitando una sorta di veto malcelato alle ambizioni militari del Vecchio Continente, sostenute con veemenza da leader europei come Emmanuel Macron. Fra questi, American Progress, un pensatoio di Washington con stretti legami con l’amministrazione Biden, è fra i primi a chiedere che l’America permetta all’Ue di diventare una potenza militare globale.

Queste spinte endogene verso l’indipendenza strategica europea arrivano a poco più di un mese dallo scorso 6 maggio quando, a conclusione del Consiglio dei ministri europei della difesa, Josep Borrell, vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dato il proprio sostegno a una proposta avanzata da 14 Stati di istituzione di una “forza di primo ingresso” di risposta militare rapida che potrebbe intervenire nelle prime fasi delle crisi internazionali; sulle prime, i Paesi hanno affermato che l’Ue dovrebbe creare una brigata di circa 5.000 soldati, possibilmente con navi e aerei, per aiutare i governi stranieri democratici che necessitano di aiuto urgente. Discussi per la prima volta nel 1999, l’Ue nel 2007 ha istituito un sistema pronto per il combattimento di gruppi tattici di 1.500 persone per rispondere alle crisi, tuttavia mai utilizzati. Questi gruppi tattici potrebbero ora costituire la base di una cosiddetta “forza di prima entrata”, parte di un nuovo slancio verso maggiori capacità di difesa dell’Unione. L’Europa, tuttavia, non possiede ancora le capacità critiche per il warfare moderno, comprese le cosiddette capacità abilitanti, come il rifornimento aereo per supportare i caccia da combattimento, gli aerei da trasporto per spostare le truppe in combattimento e i droni di ricognizione e sorveglianza di fascia alta.

Gli errori in ambito NATO

Le spese militari in ambito Nato sono state a lungo il cappio al collo del sistema di difesa europeo: gli ultimi decenni hanno visto moltiplicarsi le pressioni sul budget collettivo, al fine di potenziare e blindare l’Alleanza. Al di là della preparazione e dell’hardware che al momento l’Europa non possiede, si tratterebbe di rivedere decenni di dottrina Nato fondati esclusivamente su una dipendenza estrema e su richiesta pressante di fondi. La forza militare dell’Europa oggi è molto più debole della somma delle sue parti, ma questo non è solo un fallimento nostrano, ma anche della strategia americana del dopo Guerra fredda nei confronti dell’Europa, praticamente invariata dagli anni ’90 e che ha prodotto, nella sua inamovibilità, la famigerata “morte cerebrale”.

Il grande timore che la difesa europea esercita verso le alte sfere del Pentagono (e non) è rappresentato dalla duplicazione delle forze, che potrebbe portare alla realizzazione di una mini Nato che quasi concorre con il Patto Atlantico. Questa visione sembra iniziare ad essere scalfita da un’idea di compromesso, ove l’Europa potrebbe realizzare una struttura alternativa e complementare a quella nordatlantica, ma in condizione di parità: da qui, la necessità di una struttura che si addica meglio alla complessità della politica europea, e votata alle funzioni che le forze armate europee già svolgono in alcuni contesti come quello del peacekeeping, peacebuilding e peacerebuilding.

Le nuove esigenze

Se durante tutta la Guerra Fredda la Nato è servita anche a proteggere l’Europa dalla minaccia sovietica, ora le esigenze quasi si capovolgono: gli Stati Uniti di Biden hanno bisogno dell’Europa forte per sostenere il confronto con Cina e Russia in teatri che – prevalentemente – non sono più europei. Questo implica una rimodulazione forte in una fase in cui l’Europa si candida a un ruolo geopolitico più solido e gli Stati Uniti hanno bisogno di riprendere la retta via. In un contesto simile, i timori di una duplicazione Nato sono alquanto anacronistici, visto e considerato che l’approccio di Washington negli ultimi due decenni verso la difesa europea non sta esattamente fornendo risultati efficaci: ergo, perché lasciare immutato un sistema che nel post Guerra fredda non ha dato buona prova di sé ?

Francesca Salvatore. (Inside Over)