(Roma, 11 giugno 2021). Con un annuncio già nell’aria da alcuni mesi, ieri il presidente francese Emmanuel Macron ha confermato che la Francia lancerà una “profonda trasformazione” dell’operazione militare Barkhane, attiva nel Sahel dal 2014 contro la minaccia jihadista, in quello che si preannuncia come un graduale disimpegno francese in un’area mai realmente pacificata e che anzi, rispetto a qualche anno fa, appare ancor più instabile e fragile. Lo dimostrano gli avvenimenti degli ultimi mesi: oltre al tentato golpe in Niger del marzo scorso ed alla ribellione in Ciad che ha visto l’uccisione del presidente Idriss Deby Itno (alleato di ferro di Parigi nella lotta al terrorismo), alla fragilizzazione del territorio saheliano hanno contribuito di recente anche i due colpi di Stato in Mali, l’ultimo dei quali avvenuto due settimane fa e che ha portato alla sospensione della cooperazione militare francese con Bamako, ormai sempre più attratta nell’orbita russa. Nell’annunciare in conferenza stampa quello che si profila come un drastico ridimensionamento della presenza francese nel Sahel, Macron ha precisato che “questa trasformazione si tradurrà in un cambio di modello” che implicherà “un nuovo quadro”, con l’obiettivo di trarre insegnamento “da quello che ha funzionato ma anche da ciò che non ha funzionato”.
Il programma prevede, nello specifico, la fine dell’operazione Barkhane come “operazione esterna” per consentire la creazione di un’operazione multilaterale “di appoggio, sostegno e cooperazione agli eserciti dei Paesi della regione che lo chiederanno”, ha precisato Macron, spiegando che “molto presto” verranno presentate le modalità e il calendario dettagliato in cui avverrà la rimodulazione dell’intervento. “La forma della nostra presenza nel Sahel non è più adatta alla realtà dei combattimenti”, ha dichiarato il presidente francese, parlando di “diverse centinaia” di militari che resteranno nel Sahel (a fronte dei 5.100 attualmente presenti) e menzionando anche la chiusura di alcune basi dell’esercito francese, senza specificare quali. Secondo quanto riferito dal quotidiano “Le Monde”, il ritiro francese è al momento pianificato in tre fasi principali: la prima è prevista per l’inizio del 2022 e potrebbe portare alla chiusura di alcune basi militari in Mali; la seconda fase porterebbe a un calo delle forze del 30 per cento entro l’estate 2022; la terza fase, ancora ipotetica, prevederebbe una riduzione del 50 per cento delle forze attuali, portandole a circa 2.500 uomini all’inizio del 2023. Da parte sua, Macron ha precisato che il suo governo lavorerà “nelle prossime settimane” a questi cambiamenti, modifiche che saranno presentate “in dettaglio” alla fine di giugno, nell’ambito della Coalizione per il Sahel, le cui linee d’azione sono state fissate al vertice di N’Djamena e che si riunirà prossimamente.
Ma è soprattutto il quadro della presenza francese che si evolverà: l’idea, fanno sapere fonti dell’Eliseo citate dall’emittente “Rfi”, è quella di concentrarsi esclusivamente sulla lotta al terrorismo e non più sulla messa in sicurezza di vaste aree di cui gli Stati interessati faticano a riprendere il controllo, il tutto nel quadro di un’alleanza internazionale strutturata attorno alla forza europea Takuba, lanciata nel marzo 2020 e a cui l’Italia contribuisce con circa 200 uomini (da dispiegare entro l’anno). La Francia, ha assicurato Macron, rimarrà la “spina dorsale” di questa forza alla quale saranno associati altri eserciti africani e stranieri. La trasformazione del modello Barkhane “implica il passaggio a un nuovo quadro, vale a dire la fine dell’Operazione Barkhane come operazione esterna per consentire un’operazione di supporto, sostegno e cooperazione agli eserciti dei Paesi della regione che si desidera e l’attuazione di un’operazione militare e di un’alleanza internazionale che associ gli Stati della regione e tutti i nostri partner strettamente incentrati sulla lotta al terrorismo”, ha detto Macron in conferenza stampa, precisando che “questo nuovo quadro manterrà i nostri impegni nei confronti dei nostri partner impegnati al nostro fianco nella forza Takuba e nella Missione di formazione dell’Unione europea in Mali (Eutm), che dovranno continuare la loro crescita”.
Per il capo di Stato francese, Eutm “sarà uno degli elementi di addestramento per tutti gli eserciti partner e Takuba sarà il pilastro di questa forza antiterrorismo”, nella quale le unità dell’esercito francese “saranno ovviamente la spina dorsale, ma saranno integrati dalle forze speciali degli eserciti della regione partner che possono e lo vorranno, e ovviamente dalle forze speciali dei nostri partner europei”. Nel motivare la decisione, il capo dell’Eliseo ha parlato di un “fenomeno di usura” e “una sensazione generale che stiamo perdendo il filo di ciò per cui siamo lì”. Una decisione che, a ben vedere, è stata motivata anche e soprattutto dalle scelte di alcuni leader saheliani. “Sono obbligato a notare che, in diversi Stati della regione, non c’è stato un nuovo coinvolgimento dei decisori per riportare lo Stato e l’amministrazione nelle aree liberate dal terrorismo”, ha esplicitamente dichiarato Macron, prima di aggiungere: “Non è compito della Francia sostituire per sempre (la sovranità de) gli Stati”.
A pesare sulla decisione non possono non essere stati gli ultimi sviluppi avvenuti nel Sahel, dove la tradizionale presenza francese è sempre più messa a dura prova dalla crescente instabilità e dalla sempre più invadente presenza di altri attori, primo fra tutti la Russia. All’inizio di quest’anno, per esempio, l’Eliseo è rimasto scosso dalla morte di cinque militari francesi avvenuta tra Natale e Capodanno, portando a 50 il numero di uomini caduti per la Francia nel Sahel. Ad aggravare la situazione c’è stata poi la vicenda del raid aereo condotto il 3 gennaio scorso dalle forze armate francesi nelle vicinanze del villaggio di Bounti, nel centro del Mali, in cui sono morte 19 persone che – secondo la versione di Parigi – sarebbero state affiliate ai jihadisti, mentre secondo quanto accertato dall’indagine condotta dalla Divisione diritti umani della Missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) sarebbero stati civili. L’annuncio del graduale disimpegno dell’operazione Barkhane avviene dunque in un contesto ancora difficile dal punto di vista della sicurezza, ma paradossalmente più opportuno dal punto di vista politico. L’obiettivo di fondo dell’Eliseo è, infatti, di far uscire la presenza francese in Mali dal rigoroso quadro di un’operazione esterna (“opex”) delle forze convenzionali, per spostarla il più possibile verso quello di una cooperazione multilaterale.
Un cambio di modello che dovrebbe tradursi in un maggiore sostegno agli eserciti saheliani, nonché in un riavvicinamento con le forze speciali dei Paesi confinanti con il Mali. Non a caso il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, si è recato ieri ad Abidjan, in Costa d’Avorio, per inaugurare un’Accademia internazionale per la lotta al terrorismo, progetto atteso da anni e finora mai realizzato. Secondo quanto sostengono fonti citate da “Le Monde”, questo sostegno ai maliani voluto da Macron dovrebbe riflettersi in particolare nell’invio di addestratori in quei Paesi del Sahel che ne faranno richiesta. Dal 2019, ad esempio, una piccola squadra di militari francesi è stata integrata nello staff dell’esercito del Mali per rimettere in piedi le proprie truppe, migliorare il reclutamento e l’addestramento, e ora questo dispositivo dovrebbe essere notevolmente rafforzato, così come la missione europea Eutm Mali (condizione, quest’ultima, tutt’altro che scontata).
In questo panorama molto incerto, un nuovo strumento europeo potrebbe però servire a Parigi come leva legale e di bilancio per mitigare il rischio di un sentimento di abbandono del suolo maliano e di vuoto politico che rischia di essere colmato da attori esterni tra cui la Russia. Convalidato solo pochi mesi fa dal Consiglio europeo, il Fondo europeo per la pace (Eff) apre in questo senso una nuova possibilità per l’Ue: quella di finanziare operazioni di difesa comune, misure di assistenza militare e, soprattutto, di fornitura di equipaggiamento letale. Prima del colpo di Stato in Mali – il secondo negli ultimi nove mesi – sarebbe dovuto entrare in vigore durante l’estate, mentre ora potrebbe subire uno slittamento. Per quanto riguarda la Missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma), sono attualmente in corso trattative per rafforzarla rapidamente con circa 2 mila uomini che si aggiungeranno agli attuali 13 mila totali, con l’ambizione di dispiegarli nel nord e centro del Mali, dove le forze di pace europee, appunto, non possono recarsi per mancanza di sufficienti condizioni di evacuazione medica. Minusma, che fino ad ora era un giocatore più di secondo piano, potrebbe dunque trovarsi ancora più esposta di prima in seguito al ridimensionamento di Barkhane.
Redazione. (Nova News)