(Roma, 06 maggio 2021). L’Ambasciata russa a Washington ha risposto, giovedì 6 maggio, alle accuse che gli Stati Uniti hanno mosso, il 5 maggio, alla Russia. Quest’ultima ha ricordato al Pentagono che anche la presenza militare statunitense nel Nord-Est della Siria è illegale. Mosca ha sottolineato che Washington “non ha il diritto di criticare l’attività militare legale delle forze armate russe in Siria” poiché operano sul territorio “in accordo con il governo del Paese”. Questo è quanto l’Ambasciata russa ha dichiarato, il 6 maggio, in un comunicato ufficiale.
Il giorno precedente, il 5 maggio, il Ministero della Difesa degli Stati Uniti aveva contestato la presenza militare russa in Siria, definendola illegale. Secondo il Pentagono Mosca sta “violando il meccanismo di distensione del conflitto” concordato con la coalizione del Nord-Est della Siria per prevenire un’escalation involontaria del conflitto. Sebbene la Russia abbia aderito al meccanismo di distensione, Washington ha ricordato che, nell’ultimo periodo, il numero di violazioni è aumentato rispetto al trimestre precedente.
Gli sforzi per ridurre l’escalation del conflitto in Siria rappresentano una tematica centrale del dialogo USA-Russia fin dall’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Nel 2017, l’allora presidente del Joint Chiefs of Staff General, Joe Dunford, ha tenuto due incontri iniziali con la sua controparte russa, il generale Valery Gerasimov, per discutere del meccanismo di distensione del conflitto della coalizione russa in Siria. È importante sottolineare che, sempre nel 2017, il Cremlino e la Casa Bianca hanno avviato una cooperazione con la Giordania al fine di ridurre l’escalation nell’area Sud-occidentale della Siria. Secondo l’ex segretario di Stato USA, Rex Tillerson, l’accordo raggiunto aveva mostrato, per la prima volta, che le due potenze, Russia e Stati Uniti, fossero in grado di “operare insieme in Siria”.
In numerose occasioni Washington ha accusato Mosca di aver violato le disposizioni concordate dalle parti per evitare l’escalation del conflitto, portando le forze dei due Paesi ad entrare in conflitto diretto. In tale contesto, è opportuno ricordare lo scontro avvenuto tra il 7 e l’8 febbraio 2018, a Deir el-Zor, in Siria. In tale data, gli Stati Uniti avevano lanciato un raid aereo per difendere le Forze Speciali USA da un attacco sferrato da militari pro-Assad. Scontri analoghi si sono verificati anche nel 2019, in seguito alla redistribuzione delle forze statunitensi nel territorio siriano. Il Pentagono, in tale occasione, aveva affermato che la Russia continuava a violare i protocolli stabiliti per la normalizzazione del conflitto. Un ulteriore esempio è dato da quanto accaduto il 27 agosto 2020, quando sette militari statunitensi sono rimasti feriti dopo uno scontro con i militari russi nel Nord-Est della Siria. Alla fine del 2020, la Russia ha continuato a condurre operazioni contro lo Stato Islamico nelle aree siriane controllate dal governo. Anche gli attacchi aerei russi lungo le rotte di trasporto hanno messo a rischio le attività umanitarie e di stabilizzazione da parte di enti statunitensi in Siria.
Il 15 marzo del 2011, il governo siriano, legato al presidente Bashar al-Assad, ha assistito a una serie di proteste senza precedenti a favore della democratizzazione del Paese e la fine del regime di Assad. Gli scontri si sono successivamente acuiti e, a partire da settembre 2011, si sono tramutati in una vera e propria guerra civile. Da una parte, si trova il governo e le forze affiliate a Bashar al-Assad, dall’altra i ribelli. Negli anni sono sorti sempre più movimenti anti-governativi, alcuni dei quali si sono radicalizzati in gruppi di fondamentalisti islamici sunniti.
Tra gli i Paesi intervenuti nel conflitto, la Russia si è collocata sul fronte filogovernativo, a partire dal 30 settembre 2015, offrendo supporto al governo di Assad sia a livello economico che militare. Dall’altra parte, la Turchia si è posta al fianco dei gruppi ribelli. È altresì importante ricordare che la presenza russa in Siria non si limita a supportare le forze filogovernative, ma conduce operazioni contro lo Stato Islamico.
L’intervento della Russia in Siria è stato accolto con sorpresa dagli osservatori internazionali. Secondo gli analisti, lo schieramento del Cremlino è legato a una pluralità di fattori. La caduta di Assad avrebbe avuto conseguenze negative per la Russia perché, da una parte, Mosca avrebbe perso un importante alleato regionale, dall’altra il sovvertimento di potere in Siria avrebbe minacciato gli interessi di Mosca nell’area. Inoltre, la decisione di intervenire nel conflitto rifletteva anche il timore che le “rivoluzioni colorate” prendessero piede in Russia. È importante ricordare che, a partire dal 2000, tali movimenti filo-europeisti hanno dato il via a proteste antigovernative in numerosi Stati post-sovietici, come l’Ucraina e la Georgia. Pertanto, Mosca temeva che il potenziale successo dei movimenti contro il governo in Siria avrebbe provocato un’analoga reazione in Russia. Anche i rapporti con l’Occidente, sempre più tesi, hanno spinto il Cremlino a schierarsi dalla parte di Assad. Infine, l’ascesa dell’ISIS ha fornito a Mosca l’opportunità di giustificare l’intervento attraverso la retorica della lotta al terrorismo.
Anna Peverieri. (Sicurezza Internazionale)