Francia: una polveriera nel cuore d’Europa

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(Roma, 06 maggio 2021). Al di là delle Alpi è in corso un vivace dibattito pubblico e politico dal 21 aprile, giorno in cui il settimanale Valeurs Actuelles ha pubblicato una drammatica lettera aperta riguardante il rischio concreto di una possibile guerra civile etno-religiosa nella Francia di domani.

Il testo, lungi dall’essere stato partorito negli ambienti cospirazionisti dell’estrema destra, è stato scritto da venti generali e firmato da cento ranghi alti e un migliaio di soldati appartenenti a vari gradi, che, oggi, a causa di tale gesto, rischiano delle gravi sanzioni disciplinari. La lettera, in effetti, più che la forma di un appello all’Eliseo, sembra essere stata concepita come un avviso, un monito perentorio: si agisca oggi per evitare la guerra domani, entri in azione la politica o si lasci intervenire un esercito insofferente e per nulla indifferente allo stato turpe in cui versa la nazione.

I firmatari chiedono alla classe politica di prendere atto dei “molti pericoli mortali che minacciano” la Francia, nella fattispecie l’aumento della violenza per le strade e “l’islamismo e le orde delle banlieue” che rischiano di frammentare l’unità e l’integrità della nazione in uno stuolo di territori fuori controllo e “sottomessi a dei dogmi contrari alla costituzione”. “Se nulla verrà fatto”, avvertono i militari, “il lassismo continuerà a propagarsi inesorabilmente nella società, provocando, infine, un’esplosione e l’intervento dei nostri commilitoni in servizio in una perigliosa missione di protezione dei nostri valori civilizzazionali e di salvaguardia dei nostri compatrioti sul territorio nazionale”.

La lettera ha generato un putiferio a livello politico, dove è stata criticata ampiamente e duramente dagli esponenti della presidenza Macron in ragione del contenuto – un possibile regalo a Marine Le Pen con l’approssimarsi delle presidenziali – e del tempismo – il sessantesimo anniversario del Putsch dei generali (Putsch des généraux) contro Charles de Gaulle, che accentua il carattere simil-golpista dello scritto.

Ma che la Le Pen stia tentando di cavalcare il dibattito suscitato dalla lettera, e che alcuni dei firmatari siano apertamente schierati su posizioni politiche di destra conservatrice, non ne sminuisce il valore e non ne confuta la veridicità. Perché sono i numeri e i fatti, molto più delle parole spaventevoli impiegate nella missiva, a dare ragione ai militari inquieti. Numeri e fatti che mostreremo e sveleremo nel corso di questa rubrica dedicata al rischio guerra civile in Francia, partendo da una ricostruzione del quadro generale per poi indagare sul cosiddetto narco-banditisimo, sulle enclavi dell’islam radicale effuse in tutto il territorio, sull’esercito ombra di radicalizzati che turba i sonni dei servizi segreti, sulle potenze che potrebbero capitalizzare il disagio delle banlieu e sulle implicazioni del cambio di paradigma etno-demografico che lentamente riscrivendo volto e anima della nazione.

Una polveriera nel cuore d’Europa

La politica francese è spaccata sul tipo di comportamento da adottare nei confronti di quei militari che hanno aderito all’iniziativa della lettera aperta, provocatoriamente ed eloquentemente firmata e pubblicata nell’anniversario di un fallito colpo di Stato militare, ma la società sembra essere di gran lunga meno divisa e più coesa sulla questione guerra civile.

Secondo un sondaggio condotto da Harris Interactive per LCI TV all’indomani della lettera aperta, l’86% degli intervistati pensa che in certe aree della nazione la legge della Repubblica non trovi applicazione, l’84% concorda sul fatto che la società stia divenendo sempre più violenta, il 74% crede che l’antirazzismo a oltranza abbia avuto un effetto contrario a quello previsto dai suoi fautori, il 73% condivide l’idea che la nazione stia andando incontro alla disintegrazione, un incredibile 49%, cioè un francese su due, “è favorevole all’intervento delle forze armate per ristabilire l’ordine” e, nel complesso, sei intervistati su dieci sostengono l’iniziativa dei militari.

Perché l’opinione pubblica solidarizzi massivamente con le forze armate è più che intuibile, comprensibile, alla luce dei numeri relativi a terrorismo islamista e radicalizzazione religiosa in Francia:

  • Più di 45 attentati di matrice islamista dal 2015 al 2021, incluso il recente attacco di Rambouillet, che hanno provocato più di 260 morti e oltre 900 feriti;
  • 33 le stragi sventate dal 2017 ad oggi;
  • 250 i detenuti nelle carceri francesi per reati legati al terrorismo islamista il cui fine pena è previsto fra quest’anno e il 2022 – e che non sono stati recuperati, ergo de-radicalizzati;
  • 40 i detenuti per reati legati al terrorismo islamista che sono stati scarcerati fra il 2018 e il 2019;
  • Circa 15mila i soggetti sorvegliati dalle autorità perché in odore di terrorismo e/o radicalizzazione;
  • Almeno 1.910 i cittadini che sono partiti in direzione del Medio Oriente ai tempi dell’espansione dell’autoproclamato Stato Islamico tra Siria e Iraq, giurando fedeltà al califfo del terrore e partecipando in prima persona alla guerra santa dell’organizzazione terroristica;
  • La cifra di cui sopra rende la Francia il maggiore bacino di reclutamento dello Stato Islamico all’interno dell’Unione Europea, avendo fornito quasi duemila combattenti stranieri su un totale di cinquemila partiti dai 27;
  • 751 le zone urbane sensibili (zones urbaines sensibles) in tutta la nazione, ove risiede il 7% della popolazione totale. Trattasi di quartieri caratterizzati da elevati indicatori di disagio sociale e abitativo richiedenti attenzione speciale da parte delle autorità – in termini di politiche sociali, urbane ed economiche – perché particolarmente permeabili al narco-banditismo e all’islam radicale;
  • Almeno 150 i quartieri che, secondo un rapporto datato gennaio 2020 della Direction générale de la Sécurité intérieure (DGSI), possono essere classificati come dei “territori perduti” (territoires perdus), ovvero banlieue e zone dormitorio che, fuori dal controllo delle istituzioni, sono formalmente controllate da reti legate al narco-banditismo e/o all’islam radicale;
  • 300 gli imam stranieri, in larga parte provenienti (e retribuiti) da Turchia, Marocco e Algeria, che sarebbero pericolosi per la sicurezza nazionale e per i quali è stato predisposto il rimpatrio nell’anno in corso;
  • 73 i siti, tra moschee, scuole private, centri culturali, attività commerciali e organizzazioni nongovernative, ai quali le autorità hanno posto i sigilli nei primi dieci mesi del 2020 a causa di legami comprovati con l’islam radicale e/o con il terrorismo;
  • Almeno 89 le moschee sotto la lente degli inquirenti per via dei sermoni ivi predicati, 16 delle quali concentrate nell’area parigina;

Non è solo una questione di terrorismo

È in errore chi pensa che lo spettro della guerra civile, riemergente a cadenza regolare, sia il frutto marcio del radicamento dell’islam radicale sull’intero territorio nazionale e ad ogni livello della società e delle istituzioni, persino nelle forze armate. Il terrorismo è parte integrante di una questione molto più vasta, più sociale che etno-religiosa, avente a che fare con i problemi del fallimento del modello d’integrazione assimilazionista e della diffusione capillare del feroce crimine organizzato di origine magrebina e subsahariana, il cosiddetto narco-banditismo.

La preoccupazione dell’opinione pubblica circa l’aumento della violenza, e dei militari per quanto riguarda “le orde delle banlieue”, può essere pienamente compresa per tramite delle cifre concernenti l’epidemia di criminalità e suddetto fenomeno criminoso, i cui attori non di rado vengono inquisiti nell’ambito di operazioni antiterrorismo e che frequentemente si rendono protagonisti di attacchi contro le forze dell’ordine:

  • 91 i gruppi criminali che sono stati smantellati nel 2019, per un totale di 209 persone arrestate;
  • 20.306 gli agenti di polizia che sono rimasti feriti nell’espletamento delle loro funzioni nel 2018 – un aumento del 15% rispetto all’anno precedente;
  • 379 gli atti di violenza urbana compiuti ai danni degli agenti di polizia nelle zone urbane sensibili in un bimestre ordinario del 2020 (17 marzo – 5 maggio), 79 dei quali classificati come imboscate e risultati nel ferimento di 43 funzionari;
  • 38.519 le denunce per aggressione fisica depositate dai poliziotti francesi nel 2019, in aumento in aumento del 18% rispetto al 2017;
  • Inestinguibile la guerra tra bande nelle Bocche del Rodano, il dipartimento di Marsiglia, che nei primi quattro mesi del 2021 ha provocato quattro morti, 12 nel 2019, 23 nel 2018, 14 nel 2017 e 29 nel 2016;

Ha ragione Emmanuel Macron o hanno ragione i firmatari della lettera aperta del 21 aprile? Non è dato sapere se la Francia sia realmente sull’orlo di una guerra civile trainata da terroristi e criminali con il gusto per le violenze anti-poliziesche, ma una cosa è innegabile: se è vero che la matematica non è un’opinione, le cifre quivi illustrate corroborano la percezione di insicurezza generalizzata dei francesi e giustificano, almeno in parte, l’inquietudine di quei militari che negli ultimi sei anni hanno assistito alla sepoltura di oltre 260 connazionali e alla scoperta di infiltrazioni malevoli nelle forze dell’ordine e nella Legione straniera.

Emanuel Pietrobon. (Inside Over)