Siria: previste misure senza precedenti per l’utilizzo di armi chimiche

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(Roma, 21 aprile 2021). L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC) è stata esortata a imporre sanzioni “senza precedenti” contro membri del governo di Damasco, oltre al presidente Bashar al-Assad, per l’impiego di armi chimiche in attacchi perpetrati nel 2013 e nel 2017 e per aver nascosto i dati reali sull’arsenale depositato nel Paese.

In particolare, mercoledì 21 aprile, i 193 Stati membri della suddetta organizzazione, con sede a L’Aia, sono chiamati a esprimere il proprio voto su una proposta francese, già appoggiata da 46 Paesi, la quale prevede la sospensione dei “diritti e privilegi” di Damasco all’interno dell’OPAC, compreso il suo diritto di voto, in una procedura senza precedenti nella storia dell’ente. Alla base di tale decisione vi sono le accuse rivolte contro il governo siriano, il quale non ha risposto alle domande dell’Organizzazione su un rapporto, pubblicato l’8 aprile 2020, riguardante l’impiego di gas Sarin nel corso di attacchi condotti contro il villaggio di al-Lataminah, nel governatorato di Hama, nel mese di marzo 2017.

Inoltre, Damasco non ha rispettato il termine di 90 giorni, stabilito dall’OPAC stessa, per dichiarare le armi utilizzate e le scorte rimanenti. In tale quadro, il direttore generale dell’organizzazione, Fernando Arias, ha dichiarato, il 20 aprile, che, nonostante le ispezioni condotte negli ultimi anni, le risposte fornite da Damasco sull’impiego di armi chimiche non possono dirsi complete o accurate. A queste si aggiungono 19 domande su strutture impiegate per fabbricare e depositare armi chimiche. Uno degli esempi più recenti riguarda un deposito scoperto a settembre 2020, presumibilmente adibito alla fabbricazione di armi tossiche. Accuse che Damasco ha negato.

“Non possiamo permettere che questa tragedia continui per un altro decennio”, sono state le parole dell’ambasciatore francese presso l’OPAC, Luis Vassy, il quale ha aggiunto che si è di fronte a una situazione “straordinaria” che richiede alla comunità internazionale di agire. Se la proposta francese verrà approvata, sarà la prima volta che l’organizzazione imporrà la pena massima a un Paese membro. Ad ogni modo, sia la Siria sia il suo alleato russo hanno negato di aver impiegato gas tossici, parlando di una “agenda ostile” contro Damasco messa in atto dagli altri Paesi e accusando la Francia di arroganza. Parigi, tuttavia, ha sottolineato che la misura proposta non mira a escludere la Siria dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche”, e Damasco rimarrà “in grado di esprimere le proprie posizioni in conformità con le norme procedurali pertinenti.

Ad aver aumentato le pressioni contro Damasco vi è poi un’ulteriore accusa da parte dell’OPAC, basata su indagini condotte da una propria squadra, l’Investigation and Identification Team (IIT), le quali hanno rivelato che vi sono validi motivi per ritenere che nell’attacco condotto nella notte del 4 febbraio 2018 contro la città di Sarqib, allora posta sotto il controllo dei gruppi ribelli, siano state impiegate armi chimiche e, nello specifico, sarebbe stato lanciato almeno un cilindro che ha rilasciato gas tossico e cloro, con conseguenze per la salute di 12 persone. Il Sarin è un gas nervino classificato come arma chimica di distruzione di massa, mentre per il cloro, sebbene sia impiegato anche per scopi industriali e di igiene, utilizzarlo come arma chimica equivale ad un crimine di guerra.

Il governo legato ad Assad, sebbene sia stato più volte accusato nel corso dei dieci anni del conflitto siriano, ha sempre negato l’impiego di armi chimiche, sottolineando come il proprio arsenale chimico sia stato distrutto nel 2013, a seguito di un accordo con Russia e Stati Uniti. Per il presidente siriano, sono i Paesi occidentali ad aver utilizzato tali armi nel Ghouta Est, uccidendo centinaia di persone. Nel frattempo, la Siria continua ad essere testimone di una perdurante guerra civile, scoppiata il 15 marzo 2011. Ad affrontarsi vi sono, da un lato, l’esercito legato al governo siriano e al presidente Bashar al-Assad, coadiuvato da Mosca e appoggiato dall’Iran e dalle milizie libanesi filoiraniane di Hezbollah, mentre, sul fronte opposto, vi sono i ribelli, i quali ricevono il sostegno della Turchia. Il 5 marzo 2020, il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, hanno raggiunto un accordo volto a porre fine all’offensiva dei mesi precedenti nel governatorato Nord-occidentale di Idlib e a favorire il ritorno di sfollati e rifugiati nell’ultima enclave posta sotto il controllo dei gruppi ribelli. Nel corso dell’ultimo anno, la tregua è stata più volte violata, ma l’intesa di Mosca e Ankara ha scongiurato il rischio di un’offensiva su vasta scala.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)