(Roma, 13 aprile 2021). A Natanz verranno installate altre 1000 centrifughe proprio per continuare il processo di raffinazione del materiale
Continuando nel botta e risposta con Stati Uniti e Israele sul negoziato nucleare, l’Iran ha annunciato oggi che nei suoi impianti arricchirà l’uranio al 60% e che in particolare a Natanz verranno installate altre 1000 centrifughe proprio per continuare il processo di raffinazione del materiale. Natanz è l’impianto che domenica era stato colpito da una potente esplosione, un atto di sabotaggio attribuito ad Israele nel tentativo di fermare il programma nucleare iraniano.
Ma intanto sul terreno, o meglio nelle acque del Golfo Persico, continua la sfida « militare » diretta fra Iran e Israele: una nave di proprietà israeliana è stata colpita in mattinata vicino al porto di Fujairah, negli Emirati arabi uniti. Da settimane israeliani e iraniani si rincorrono nel mettere a segno attentati non rivendicati contro unità navali del paese rivale, un programma che Israele aveva portato avanti in segreto per mesi mettendo a segno sabotaggi contro petroliere iraniane che portavano greggio alla Siria di Bashar Assad.
A Vienna stanno per riprendere i negoziati indiretti sul programma, e il vice-ministro agli Esteri Abbas Araghchi ha comunicato al direttore della Aiea Rafael Grossi che il suo paese ha deciso di passare a un livello di arricchimento del 60%. Non è un livello ancora utile per arrivare a sviluppare un’arma nucleare, ma è il livello più altro mai raggiunto dagli iraniani, ben al di là dei limiti importi dall’accordo JCPOA del 2015. L’accordo è era stato abbandonato dall’amministrazione Trump nel 2018, e dopo un anno anche l’Iran aveva iniziato a non rispettarlo, “sforando” proprio i limiti di arricchimento dell’uranio che erano stati concordati con l’amministrazione Obama.
L’annuncio iraniano arriva dopo alcuni giorni particolarmente complicati: il sabotaggio di domenica nel sito di Natanz sembrerebbe essere stato portato a segno dagli israeliani senza un coordinamento con l’amministrazione di Joe Biden, che in questi giorni ha iniziato invece a negoziare un suo ritorno nel JCPOA (Joint Common Plan Of Action) che era stato firmato nel 2015.
Da mesi il premio israeliano Benjamin Netanyahu ha detto apertamente che il suo governo si oppone con tutta la sua forza a un rientro degli Usa nel Jcpoa. Il che significherebbe che l’American dovrebbe cancellare le pesanti sanzioni economiche contro l’Iran decise da Donald Trump.
La diplomazia iraniana, e innanzitutto il ministro degli Esteri Javad Zarif, ha messo direttamente in relazione l’attentato di Natanz con il negoziato in corso a Vienna. Durante una conferenza stampa con il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, Zarif ha detto che “Israele ha fatto una scommessa perdente se credeva che l’attacco a Natanz avrebbe indebolito la posizione dell’Iran nei negoziati nucleari”. Evidentemente anche per rilanciare la posta, gli iraniani hanno immediatamente annunciato di voler alzare il livello di arricchimento al 60%.
In queste ore in Iran è in corso un confronto molto serrato fra le varie anime della leadership politica: un giornale conservatore come Kayan, vicino allo stesso ayatollah Ali Khamenei, sostiene la tesi che l’Iran dovrebbe semplicemente “abbandonare i negoziati, cancellare tutti i suoi impegni a limitare la ricerca nucleare, colpire Israele per ritorsione e smantellare la rete di spie che ha aiutato i sionisti”.
Dalle mosse che il governo del presidente Rouhani applica in queste ore sembra chiaro però che la debole leadership riformista non voglia far saltare i negoziati di Vienna. Rouhani e il suo abile ministro Zarif sperano di riuscire a riesumare un accordo con gli Stati Uniti, magari in tempo per le elezioni di maggio. Sperano che gli Usa accettino rapidamente di abolire le sanzioni economiche per portare risultati da vendere all’elettorato iraniano. Ma l’ultimo attacco attribuito a Israele, per non parlare dell’uccisione dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh in novembre, non fanno che portare argomenti ai sostenitori della linea dura con l’America e l’Occidente.
Vincenzo Nigro. (La Repubblica)