Perché è così importante la visita di Papa Francesco a Najaf

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(Roma, 04 marzo 2021). C’è una tappa in particolare, nel programma della storica visita che Papa Francesco terrà in Iraq, che ha tutto l’aspetto di essere uno dei passaggi più simbolici dell’intero pontificato di Bergoglio e dei rapporti tra Chiesa e Islam. Il 6 marzo infatti il capo della Chiesa Cattolica si recherà a Najaf. Non proprio una città come tutte le altre. Dopo La Mecca e Medina è la terza località più visitata nei pellegrinaggi dei musulmani. Ma soprattutto è la città Santa degli sciiti, sede della tomba dove è sepolto Alì ibn Abi Talib, considerato dallo sciismo il primo Imam e il primo vero successore di Maometto. A Najaf il Papa incontrerà l’Ayatollah Ali Al Sistani, guida spirituale per gli sciiti iracheni e punto di riferimento per l’intero mondo sciita. Il loro sarà di fatto un colloquio tra due massime autorità religiose.

Cosa vuol dire andare a Najaf

Il 9 aprile 2003 le truppe Usa sono entrate a Baghdad, ponendo fine all’era di Saddam Hussein. Quel giorno la capitale irachena è rimasta senza autorità politiche e senza rappresentanti locali. Nel marasma dell’anarchia immediatamente successiva alla caduta del rais, da un quartiere di Baghdad è stata emanata la richiesta di ricevere ordini politici e amministrativi dagli anziani religiosi di Najaf. La zona in questione era quella di Sadr City, l’enclave sciita all’interno della capitale. Un episodio che dimostra quanto Najaf sia importante culturalmente e politicamente per lo sciismo iracheno. La presenza del mausoleo dell’Imam Alì ha sempre posto la città al centro di ogni evento religioso e storico delle varie comunità sciite mediorientali. Ogni anno qui si recano milioni di musulmani in pellegrinaggio: Alì era genero di Maometto, è stato il quarto califfo ma dagli sciiti è considerato il primo Imam, il primo vero successore del Profeta.

Il Papa il 6 marzo si recherà proprio in questi luoghi. Ecco quindi che la visita assumerà un significato simbolico molto importante e non solo per gli sciiti iracheni. Najaf infatti è una città Santa e di riferimento per tutti coloro che abbracciano questo ramo della religione musulmana. Sono due infatti le località da cui sono passati, già dall’antichità, tutti gli studiosi e i teologi più importanti della storia sciita: oltre a Qom, in Iran, c’è per l’appunto Najaf in Iraq. Ed è proprio che tutti coloro che si sono distinti all’interno del mondo sciita vengono sepolti. A pochi passi dalla moschea dell’Imam Alì, vi è il “Wadi Al Salam“, Valle della Pace in arabo. Si tratta di uno dei più grandi cimiteri del mondo, altra meta obbligatoria per tutti i pellegrini che si spingono in questa regione del sud dell’Iraq. Un luogo talmente importante che di recente è stato al centro di una discussione per via delle nuove norme sul coronavirus: le autorità hanno deciso, per evitare la proliferazione dei contagi, di seppellire il prima possibile le vittime di Covid, ma molti sciiti hanno sostenuto l’importanza di continuare a trasferire i corpi delle persone più meritevoli all’interno del Wadi. Anche da questi dettagli si intuisce la sacralità e la centralità di Najaf e il suo ruolo di città Santa.

L’atteso incontro con Alì Al Sistani

Si trova proprio a Najaf il quartier generale dell’Ayatollah Al Sistani. Lui per la verità ha origini iraniane, essendo nato in un’altra città epicentro del mondo sciita, ossia Mashhad. Ben presto però i suoi studi teologici lo hanno condotto nel sud dell’Iraq. Nel corso degli anni è diventato un riferimento per gli sciiti del Paese mediorientale e non solo. Quando nel febbraio del 1999 Mohammed Al Sadr, il più eminente leader religioso iracheno, è stato ucciso a Najaf, Al Sistani ne ha preso il posto. É stato quindi lui a gestire la situazione all’interno del mondo sciita in uno dei passaggi più delicati della storia recente irachena, la fine cioè di Saddam Hussein. Quest’ultimo, appartenente alla minoranza sunnita, è andato spesso allo scontro con le autorità religiose di Najaf. La sua caduta ha coinciso con la presa del potere da parte dei gruppi sciiti.

Alì Al Sistani in tal senso è stato chiamato più volte a regolare controversie e conflitti nell’intricato periodo successivo a Saddam. A lui si sono rivolti gli sciiti, ma anche molti leader sunniti e i membri delle minoranze religiose, partendo da quelle cristiane. Dal canto suo, l’Ayatollah ha sempre richiamato le comunità sciite a non maltrattare gli esponenti delle minoranze. Significativo in tal senso il telegramma partito da Najaf con destinazione la Santa Sede con cui, nell’aprile del 2005, sono state esposte pubblicamente le condoglianze per la morte di Papa Giovanni Paolo II. Nel gennaio del 2019 è stato proprio Al Sistani a chiedere l’apertura di inchieste contro i crimini perpetuati dall’Isis contro i cristiani. Un percorso quindi di avvicinamento tra massime autorità sciite e cattoliche che culminerà con l’incontro tra il Pontefice e l’Ayatollah a Najaf. Appuntamento quest’ultimo che, oltre ad essere storico, si spera possa essere base per una futura riconciliazione tra le varie comunità religiose irachene.

Mauro Indelicato. (Inside Over)