(Roma il 27 febbraio 2021). Per il quarto giorno consecutivo, il 25 febbraio la valuta locale turca, la lira, ha registrato un nuovo calo, toccando quota 7,1 lire rispetto al dollaro USA. La perdurante crisi economica sta portando alcune aziende straniere a porre fine ai propri affari in Turchia.
Come riportato dal quotidiano al-Arab, nonostante il miglioramento raggiunto nei primi giorni di febbraio, la valuta turca ha subito una perdita del 3% in una settimana, con una diminuzione del tasso di cambio pari allo 0,5% nella sola giornata di giovedì 25 febbraio. Secondo alcuni analisti, ad aver determinato un simile peggioramento potrebbero essere state le dichiarazioni del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, in difesa delle politiche adottate dall’ex ministro delle Finanze, nonché genero del capo di Stato, Berat Albayrak, dimessosi l’8 novembre 2020. La politica economica e finanziaria del genero di Erdogan era stata oggetto di continue critiche da parte dell’opposizione turca, che ha spesso accusato Albayrak di non essere riuscito a migliorare la situazione economica del Paese. Per Erdogan, invece, l’origine del problema era da ritrovarsi nell’ex governatore della Banca centrale.
Al momento, le operazioni che la Banca centrale intende condurre, dall’aumento dei tassi di interesse a misure di inasprimento, risultano essere ancora vaghe, il che ha causato uno stato di incertezza e confusione tra gli investitori. Mentre il debito estero di Ankara ha superato i 445 miliardi di dollari, le riserve di valuta estera della Banca centrale sono gradualmente diminuite, a causa della politica adottata dalle banche governative, che hanno venduto 130 miliardi di dollari della valuta statunitense per sostenere la lira.
Stando a quanto riporta al-Arab, il declino della lira ha fatto seguito all’utilizzo dei requisiti di riserva, che hanno “irrigidito la liquidità” e accresciuto le preoccupazioni circa l’esposizione dell’autorità monetaria a pressioni volte a non aumentare gli oneri finanziari. Alla luce della debolezza della moneta, la Banca centrale ha aumentato di 200 punti base l’obbligo di riserva per i depositi in lire turche, affermando che la mossa avrebbe migliorato l’efficacia della conversione nella sua politica monetaria.
Tale scenario risulta essere diverso da quello delle prime settimane di febbraio. Il 7 febbraio scorso, la valuta turca ha toccato la cifra migliore degli ultimi sette mesi, pari a 7.045 lire rispetto al dollaro USA. Tale effetto, secondo esperti di finanza, potrebbe essere stato dovuto all’innalzamento dei tassi di interesse, che avevano oramai raggiunto il 17%. Tuttavia, già nel corso del 2020, la valuta turca ha perso circa il 30% del suo valore, e la situazione era stata ulteriormente esacerbata proprio dall’innalzamento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale.
Di fronte a un quadro economico precario, il quotidiano al-Arabiya ha riferito che una società britannica ha deciso di vendere la sua quota, pari al 40% delle azioni, in una joint venture con la parte turca, cosa che, secondo al-Arabiya, anche altre società straniere potrebbero essere portate a fare nel futuro prossimo. Nello specifico, la compagnia britannica “Aviva” ha annunciato che lascerà la Turchia per una ristrutturazione internazionale con cui prevede di vendere o ridurre le proprie azioni con Citigroup e UniCredit, al fine di evitare possibili perdite in un Paese, la Turchia, testimone di una “crisi senza precedenti”.
Secondo fonti mediatiche non affiliate ad Ankara, è probabile che sarà la compagnia di assicurazioni Agia ad acquistare le azioni di Aviva, con un accordo dal valore di circa 173 milioni di dollari. Non si esclude, poi, l’ipotesi che anche l’organizzazione bancaria multinazionale britannica e di servizi finanziari HSBC lascerà presto il Paese, mentre la British Investment Bank ha anch’essa rivelato intenzioni simili all’inizio del 2021.
Come riportato da al-Arabiya, la società Volkswagen ha precedentemente annullato il suo progetto in Turchia, del valore di 1,1 miliardi di dollari, con cui mirava a stabilire una fabbrica nel Paese. La scelta è, però, successivamente ricaduta sulla Slovacchia. Ciò, a detta del direttore esecutivo, è avvenuto per “motivi politici”, di cui non sono stati rivelati particolari dettagli.
A detta di alcuni esperti di economia, al momento “non è logico” investire in Turchia. Motivo per cui, le grandi aziende decidono di lasciare il Paese o ridurre il valore dei loro investimenti. Nonostante ciò, Ankara cerca di delineare un quadro ottimistico e, come riportato da al-Arabiya, i media filogovernativi affermano che gli investimenti stranieri sono in aumento. Ad ogni modo, il Paese deve far fronte a una situazione economica ulteriormente esacerbata dalla pandemia di Covid-19. Stando a quanto riferito da al-Arab, la maggior parte dei settori dell’economia turca ha registrato un calo significativo delle entrate, a causa della contrazione della domanda e del calo delle attività di esportazione, in un momento in cui si è intensificato il crollo della valuta locale.
Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)