Almeno 3 morti a un check point vicino al Parlamento. Il paese è in profonda crisi politica: il mandato del presidente Farmaajo è scaduto, ma non è stato raggiunto un accordo con gli stati regionali per nuove elezioni.
Ancora un attentato in una zona centrale di Mogadiscio: 3 persone sono rimaste uccise per l’esplosione di un’autobomba guidata da un attentatore suicida, vicino a un checkpoint a est del Parlamento e del palazzo presidenziale. L’attentato è stato messo a segno dal gruppo terroristico degli “Shabaab” che da anni tiene sotto pressione il governo somalo e le sue forze di sicurezza. L’ennesimo atto terroristico avviene in un momento politicamente molto delicato per la Somalia. La settimana scorsa il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha convocato per una riunione di emergenza sulla crisi politica nel paese. Da giorni a Mogadiscio ci sono manifestazioni di protesta per chiedere che il presidente Mohamed Abdillahi Farmaajo lasci l’incarico, scaduto l’8 febbraio.
I partiti dell’opposizione hanno comunicato che non riconoscono più l’autorità del presidente, rimasto in carica per quattro anni. Il suo mandato è scaduto senza che venisse trovato un accordo sul percorso che dovrebbe portare la Somalia alle elezioni. Per le Nazioni Unite “c’è ancora la possibilità che i leader somali stiano insieme e trovino una soluzione politiche che tuteli le istituzioni costruite con tanto duro lavoro”, ha detto il portavoce dell’Onu Stephane Dujarric in un briefing con la stampa. “Il dialogo tra le parti è fondamentale per avere un accordo chiaro e condiviso sul percorso da compiere”, ha aggiunto.
Le opposizioni chiedono alla comunità internazionale di smettere di riconoscere Farmaajo come presidente della Somalia. Il massimo dirigente del partito “Wadajir” nonché candidato alle presidenziali del 2017, Abdirahman Abdishakur, ha affermato che “il mandato del capo di Stato è finito” e che quindi “chiunque ne giustifichi la permanenza al potere è da considerarsi in parte responsabile dell’instabilità e del collasso del paese”.
Una risoluzione del parlamento approvata l’anno scorso permette al presidente e ai deputati di rimanere in carica anche dopo la fine della legislatura, fino a che non vengono eletti i successori. La crisi politica è stata provocata dal fatto che il governo centrale somalo e gli esecutivi degli stati regionali che compongono la federazione non sono riusciti a raggiungere un accordo sul processo elettorale che avrebbe dovuto portare entro questo mese a nuove elezioni.
Farmaajo ha attribuito la responsabilità del fallimento dei negoziati alle autorità di Jubaland e Puntland, che già a dicembre avevano deciso di non aderire alla commissione elettorale che avrebbe dovuto monitorare il voto.
L’inquilino di Villa Somalia ha anche citato “interferenze straniere”. Mogadiscio ha sospeso i rapporti diplomatici con il vicino Kenya a dicembre accusando il governo del presidente Uhuru Kenyatta di sostenere il governo dissidente dello stato di Jubaland, al confine tra i due paesi.
Il massimo dirigente dello Jubaland, Ahmed Madobe, ha affermato che la responsabilità del mancato esito positivo dei negoziati “ricade completamente sul presidente Farmaajo”. Uno dei nodi più critici nella disputa tra lo stato e l’esecutivo centrale è rappresentato dalla gestione del voto nella provincia di Jedo. Nella zona si verificano spesso scontri a fuoco tra il contingente di Mogadiscio che ne occupa alcune aree e le truppe leali al governo locale. (La Repubblica)