(Roma 18 gennaio 2021). In Italia la mezzanotte era passata da poco meno di mezzora. Tutti i principali canali televisivi in quel momento stavano realizzando speciali sulla tensione in corso in medio oriente. Il giorno precedente era scaduto infatti l’ultimatum dato dall’Onu all’Iraq di Saddam Hussein per ritirare le truppe dal Kuwait. Si capiva dunque che la notte del 17 gennaio era quella ideale per l’attacco che gli Stati Uniti di George Bush avevano in mente di lanciare. Alle 00:28 i primi bombardamenti su Baghdad: ad annunciarli in diretta è stato Peter Arnett sulla Cnn. La guerra era cominciata. E, con essa, la grande paura provata dal mondo di cadere nuovamente in un conflitto generale.
Cosa ha significato quel 17 gennaio del 1991
Chi a ridosso di quel 1991 c’è nato è in qualche modo abituato a sentir parlare di guerra in Iraq. Oggi il Paese arabo è ancora alle prese con l’instabilità sorta dopo il conflitto del 2003 e la deposizione di Saddam, le cronache degli ultimi anni hanno soprattutto parlato di un mai domato conflitto contro l’Isis. Ma trent’anni fa la percezione del conflitto è stata molto diversa: in tutto il mondo l’opinione pubblica ha visto nella guerra contro l’Iraq un’azione contro uno Stato stabile, ben preparato e pronto a resistere nonostante la supremazia tecnologica e militare degli Usa. Si temeva, in poche parole, che il 17 gennaio 1991 costituisse la data di inizio di un lungo e dispendioso conflitto, forse anche mondiale. Per di più la propaganda avanzata dagli Usa e dal governo in esilio del Kuwait aveva funzionato e Saddam Hussein, dopo l’invasione del 2 agosto 1990 del piccolo emirato del Golfo, era stato trasformato da leader riformatore a nuovo cruento dittatore pronto a tutto.
Il braccio di ferro diretto tra Washington e Baghdad è iniziato alle 00:28 (ora italiana) di quel 17 gennaio. Le sirene antiaeree hanno allertato i cittadini della capitale irachena delle imminenti incursioni statunitensi. I riflettori della Cnn si accendevano sull’Iraq e la guerra, grazie al satellite, entrava direttamente nelle case di cittadini divenuti spettatori di un vero e proprio show bellico: “Sebbene sia la prima guerra in diretta, è anche la prima senza immagini”, ha commentato anni dopo Enrico De Angelis in “Guerra e Mass Media“. Il conflitto è diventato improvvisamente elemento della quotidianità, venendo inserito nei palinsesti televisivi come un qualsiasi spettacolo. Ma la guerra non si vedeva, se non nei traccianti dell’antiaerea irachena e nei bagliori delle bombe cadute su Baghdad. Quasi come se dall’Iraq, nonostante gli eventi bellici, fosse sparita la morte e la sofferenza.
In quel 17 gennaio tutto il mondo è rimasto incollato alla tv. All’una di notte tutti oramai sapevano del primo bombardamento in corso, all’1:06 la Casa Bianca ha confermato l’inizio delle ostilità, alle 03:00 invece da Washington veniva trasmesso il discorso del presidente Bush. All’alba dagli Stati Uniti si esprimeva già soddisfazione: con i primi raid l’aviazione irachena era stata messa in condizione di non rispondere, l’incubo di una guerra rovinosa e costosa per gli Usa e gli alleati era già diradato. Nel corso della giornata restava da chiedersi dove fosse finito Saddam Hussein. E non sono tardate ad arrivare ipotesi sulla sua morte o sul suo ferimento. Ma poco prima delle 06:00 il rais ha parlato per mezzo della radio irachena, esortando la popolazione a resistere. Poi, nel pomeriggio, il capo di Stato iracheno è apparso in tv all’interno di un piccolo studio intento a pregare poco prima dell’inizio di una riunione con i principali esponenti del governo. La guerra è andata avanti per poco più di un mese: il 28 febbraio militari statunitensi e della coalizione internazionale sono entrati a Kuwait City e questo ha costituito l’ultimo atto del conflitto.
L’attualità di quella guerra
Tutto era nato il 2 agosto 1990, quando le truppe irachene hanno preso il controllo del Kuwait. Ma forse in realtà le radici di quel conflitto sono ancora più remote: Saddam Hussein, dopo la dispendiosa guerra con l’Iran terminata nel 1988, aveva bisogno di fondi per ricostruire il Paese. Ma dopo l’appoggio fornito dagli Usa e dai vicini arabi contro gli ayatollah, si è reso conto di essere stato lasciato solo. E soprattutto che il vicino Kuwait, spinto da altri attori internazionali, rubava il petrolio iracheno. Quest’ultima circostanza ha convinto Baghdad ad annettere il piccolo Stato vicino. Da qui la reazione Usa e la guerra scoppiata 30 anni fa, terminata con una sonora sconfitta irachena. Saddam è riuscito a sopravvivere a quella guerra, rimanendo in sella per altri 12 anni, fino a quando cioè George Bush jr. nel 2003 non ha deciso di mandare le truppe Usa direttamente a Baghdad.
Entrambe le guerre del golfo oggi appaiono molto attuali. L’instabilità dell’Iraq si è trasformata nell’instabilità dell’intero medio oriente e il ridimensionamento prima e la fine politica e umana poi di Saddam hanno contribuito all’attuale scenario di tensione nella regione. Il mondo trent’anni fa prima si era messo paura e subito dopo ha tirato un sospiro di sollievo quando ha visto la facilità con cui gli Usa riuscivano ad avere ragione sull’Iraq. Chi in quella notte di gennaio era rimasto sintonizzato alla tv, era ignaro delle conseguenze a lungo termine di guerre solo apparentemente brevi. Il 17 gennaio 1991 stava iniziando a cambiare per sempre sia il medio oriente e sia gli equilibri globali nella loro interezza.
Mauro Indelicato. (Inside Over)