(Roma 21 settembre 2020). I fondali del Mediterraneo orientale sono al centro di una disputa di straordinaria importanza. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha deciso di uscire dal suo guscio terrestre per provare, con la realizzazione della dottrina del Mavi Vatan, la Patria Blu, a ricostruire una sua forza marittima e una sua proiezione in tutto il bacino del Mediterraneo allargato. Lo scontro con la Grecia e con Cipro ha mostrato, a tutti la volontà di Ankara di imporre una propria agenda in quel settore di mare. E la nave per la ricerca Oruc Reis, scortata da alcuni mezzi della flotta militare turca, ha rappresentato la punta di lancia di una nuova campagna di rafforzamento delle pretese del Sultano.
L’attenzione si è chiaramente concentrata sul gas e sui giacimenti tra Cipro e l’isola di Creta. Un tesoro custodito nelle acque del Mediterraneo orientale cui si aggiunge la volontà turca di rompere quelle linee di demarcazione di confini e di zone economiche che ad oggi, per Ankara, non hanno più senso. Motivazioni concrete cui però si aggiunge una che forse non è così chiara né così immediata, ma che può avere ripercussioni decisive per la geopolitica regionale. Una ragione che riguarda sì i fondali del Mediterraneo, ma non le sue risorse, bensì quello che ci passa appena sopra: i cavi sottomarini.
I cavi sottomarini rappresentano elementi tanto fondamentali e necessari quanto spesso sconosciuti o comunque poco considerati nelle logiche di potenza. Nessuno pensa a queste infrastrutture strategiche quando si pensa al mare, dal momento che spesso sono “oscurate” da giacimenti, gasdotti o oleodotti. Elementi che risaltano subito, anche nei non addetti ai lavori, come pilastri di qualsiasi strategia economica, politica o militare. Tuttavia nella società dei nostri giorni, che vive con un enorme flusso di dati (in costante aumento), non bisogna dimenticare che questi passano anche e soprattutto attraverso questi “condotti”, che fisicamente tracciano delle rotte ben precise. Internet è solo in apparenza un’entità astratta: per essere fruita dai Paesi e dai cittadini ci sono cavi che passano spesso lungo percorsi di migliaia di miglia tra i fondali marini degli oceani e dei mari più piccoli, diventando veri e propri pilastri della geopolitica.
Il Mediterraneo orientale non fa eccezione nemmeno in questo. Ed è chiaro che il dinamismo turco e il suo successivo isolamento si inquadrano anche (se non esclusivamente) nella partita dei cavi sottomarini. Basti ricordare che già a febbraio la Marina di Cipro aveva inviato un Navtex per proteggere le attività di ricerca per la costruzione del cavo elettrico sottomarino tra il continente africano e l’Europa. Avvertimento cui risposte la Marina turca con un altro di eguale misura che bloccò i lavori dell’interconnettore tra Africa Europa. E il motivo è che quel cavo passa, spiega Startmag, proprio nelle acque rivendicate dalla Turchia come sua Zona economica esclusiva in base all’accordo con il governo libico. In particolare a interessare il Navtex furono i blocchi 6 e 7 della Zee cipriota, quelli che Ankara rivendica anche per le perforazioni di gas. Ma che servirebbero anche come area di sviluppo di un elettrodotto di fondamentale importanza strategica per i Paesi coinvolti nella partita euro-mediterranea.
Il problema si ripete ora anche per un altro cavo sottomarino che potrebbe avere una enorme valenza geopolitica. Ma questa volta nel campo delle telecomunicazioni. In questi mesi, infatti, dovrebbe entrare in funzione uno dei principali progetti di sviluppo nel settore dei cavi sottomarini: il Quantum Cable. Parallelo all’interconnettore Europa-Africa già insidiato dalle manovre di Erdogan, questo cavo potrebbe avere una rilevanza politica addirittura maggiore rispetto a quella dell’elettrodotto che corre parallelo nei fondali del Mediterraneo orientale. Perché questo cavo sottomarino avrebbe una capacità di 160 terabit al secondo – un vero e proprio record nel trasferimento dei dati – ma soprattutto collegherebbe proprio quei Paesi che oggi rappresentano i partner e i rivali della Turchia nel Mediterraneo. Dalla base in Israele, il progetto del Quantum cable si sviluppa da per migliaia di chilometri fino a raggiungere Bilbao, in Spagna, con diramazioni che andranno a Cipro, a Agios Dimitrous in Grecia, raggiungerà le coste italiane nei pressi di Bari e anche la Francia dalle parti di Marsiglia. Un progetto voluto fortemente da tutto il blocco mediterraneo visto che secondo le analisi “sgancerebbe” il fronte Sud dell’Europa dalla dipendenza dei mega centri dati dell’Europa centrale e soprattutto collegherebbe di fatto Medio Oriente, Europa mediterranea e Stati Uniti, (il cavo si unirà a uno già presente sulle coste spagnole che arriva in Virginia) escludendo la Turchia da questo enorme flusso di dati e di potenza di trasmissione.
Il non esserne coinvolti non ha fatto certo piacere ai turchi, visto che si tratta di un’infrastruttura strategica di portata estremamente rilevante. Un progetto che porta le firme di Grecia e Francia ma che soprattutto viene visto come uno smacco per un Paese che, in tutte le sue differenza di vedute, rimane pur sempre un membro della Nato. E che non vede l’ora di poter sfruttare le tecnologie messe in mostra attraverso questa rete. Anche per non essere fatto fuori da un’intricata rete di intelligence e di condivisione di informazioni che inevitabilmente passa anche attraverso la velocità di questi cavi sottomarini. In questo senso, fa riflettere che le attività di ricerca per gli idrocarburi di queste settimane abbiano coinvolto anche l’area in cui passa il tracciato del Quantum cable. Una coincidenza che non può definirsi solo una suggestione dal momento che una nave di ricerca per le perforazioni marine può sicuramente essere dotata anche di elementi di “caccia” per questo tipo di informazioni sui lavori nei fondali tra Cipro e Creta. In un’epoca in cui il mondo viaggia con i dati internet, avere accesso o meno a un cavo è un tema di ordine geopolitico al pari (o forse anche più) di un gasdotto o un oleodotto.
Lorenzo Vita. (Inside Over)