La diplomazia dei caccia della Francia per contrastare Erdogan

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(Roma 17 settembre 2020). «È giunta l’ora di rinforzare le nostre Forze armate», ha detto il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis annunciando, domenica 12 settembre, l’acquisto di un lotto di 18 cacciabombardieri Rafale dalla Francia.

Il contratto, per sei caccia nuovi fiammanti e dodici « di seconda mano », dovrà essere finalizzato entro l’anno in corso e fa parte di un programma di riarmo più vasto intrapreso dalla Grecia sull’onda delle recenti tensioni con la Turchia per lo sfruttamento delle risorse di idrocarburi presenti nella piattaforma continentale tra Cipro e le isole dell’Egeo: una Zona di esclusività economica rivendicata da Ankara ma che, attualmente e in forza di precedenti trattati, è sottoposta alla sovranità greca. Il premier Mitsotakis ha infatti reso noto che, oltre ai velivoli, saranno acquistate quattro fregate e altrettanti elicotteri per la Marina ellenica insieme ad armi anticarro, missili, siluri e il rinnovamento di altre quattro unità navali dello stesso tipo.

Una commessa importante su cui ha sapientemente messo le mani Parigi, che è diventata il partner privilegiato di Atene non solo per quanto concerne la fornitura di armamenti. La Francia ha infatti sposato le istanze greche contro la Turchia in modo inequivocabile: Eric Trappier, presidente di Dassault Aviation – azienda che costruisce i Rafale – ha infatti affermato in occasione della comunicazione dell’acquisto dei caccia che « Dassault Aviation è pienamente mobilitata per soddisfare le esigenze operative espresse dall’aeronautica militare greca e contribuire così a garantire la sovranità della Grecia e la sicurezza del popolo greco ».

L’Eliseo, da parte sua, invia un messaggio oltremodo chiaro e concreto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan: il presidente Emmanuel Macron ha rinnovato il suo sostegno ad Atene e la sua linea di fermezza contro la Turchia. Un avvicinamento tra Grecia e Francia che dura da mesi, e che negli ultimi sei ha avuto un’accelerazione proprio per via delle mosse turche nel Mediterraneo Orientale che hanno acuito le tensioni tra i due « vicini di casa », rivali da tempo immemore.

Parigi quindi scopre le sue carte e decide di cambiare i rapporti di forza tra Ankara e Atene fornendo un velivolo, il Rafale, più moderno rispetto a quanto può schierare la Turchia (F-16 ed F-4) e quindi dando un vantaggio non indifferente all’aeronautica ellenica che, quando i velivoli saranno in linea, potrà facilmente surclassare i caccia turchi, appartenenti ad una « mezza generazione » precedente.

I velivoli francesi non saranno, però, gli stessi usati dall’Armée de l’Air (recentissimamente diventata « Armée de l’Air e de l’Espace ») o dalla Marine Nationale: l’elettronica « sensibile » verrà smontata. Restano comunque un assetto destabilizzante anche per via delle particolari contingenze geopolitiche in cui si è trovata la Turchia con la decisione di proseguire nell’acquisto dei sistemi da difesa aerea di fabbricazione russa S-400: l’esclusione dal programma per il caccia di quinta generazione F-35 decisa da Washington.

La Grecia, ad onor del vero e proprio per via della partecipazione turca al Jsf (Joint Strike Fighter), si era interessata all’acquisto del velivolo stealth della Lockheed-Martin, ma con ogni probabilità, vista l’esclusione di Ankara, gli Stati Uniti hanno preferito prendere tempo invece di stilare prontamente un contratto di fornitura come avvenuto per altri Paesi.

La Francia, perciò, compie una scelta di campo importante che non è solo motivata dalla necessità di vendere i propri armamenti, ma assume la precisa connotazione di contrasto all’attività politica della Turchia in Medio Oriente, nel Mediterraneo e in Africa.

Parigi ha le sue piccole « sfere di influenza »: il dossier libico è stato praticamente generato dall’Eliseo che ha deciso quasi unilateralmente la destituzione di Gheddafi. Ancora oggi la Francia è particolarmente attenta a quanto sta accadendo in Libia e fa parte della Task Force navale addetta al controllo del rispetto dell’embargo sugli armamenti, attività che ha causato pochi mesi fa un « incidente » proprio con la Turchia.

La Francia riserva anche particolare attenzione alle sue ex colonie mediorientali: la Siria e il Libano che, negli ultimi anni, sono state – e sono ancora – teatro dell’espansionismo turco. In Siria la situazione è ormai nota da tempo: l’operazione Sorgente di Pace ha portato all’invasione del nord del Paese per creare una « fascia di sicurezza » contro l’attività terroristica delle milizie curde e opponendosi anche all’esercito di Damasco, mentre il Libano sta diventando sempre più un nuovo fronte dove Ankara si propone come partner per cercare di diventare la potenza regionale di riferimento del mondo musulmano.

Il governo turco è stato tra i primi, insieme a quello francese, ad effettuare una visita ufficiale a Beirut in occasione della tragica esplosione al porto, e oltre a fornire aiuti di ogni tipo (dai medicinali alle derrate alimentari) ha messo a disposizione le infrastrutture del porto di Iskenderun (Alessandretta) per sopperire all’impossibilità dei libanesi di utilizzare il proprio.

La presenza turca in Libano è strisciante: giungono rapporti di una costante penetrazione nel nord del Paese sfruttando il vuoto lasciato dall’Arabia Saudita e proponendosi come potenza sunnita di riferimento in contrasto con lo sciismo di Hezbollah e dell’Iran, che pure ha mire importanti su Beirut per la ben nota strategia della “Mezzaluna Sciita”.

Risulta anche che ci sia Ankara dietro un traffico di armi passante sempre per il nord del Libano. Fonti dell’intelligence dell’esercito libanese hanno espresso la loro preoccupazione per la questione riferendo ad al-Arabiya che è in atto un’operazione di sorveglianza da parte dell’esercito:

«Siamo piuttosto preoccupati per quello che sta succedendo. I turchi stanno inviando una quantità incredibile di armi nel nord»

Turchia che è anche molto attiva in Africa ed in particolare in quel punto strategico rappresentato da Gibuti, che controlla gli stretti di Bab el-Mandeb. Ankara è uno degli otto Paesi che hanno una base militare in quella regione (insieme a Francia, Italia, Cina, Usa, Giappone, Qatar ed Eau) ed è particolarmente attiva nel Corno d’Africa, usato come testa di ponte per la penetrazione turca nel continente.

Parigi, pertanto, non può permettere che Ankara diventi un importante attore regionale con possibili ripercussioni di più ampio raggio e sta agendo esplicitamente per contenere l’espansionismo dell’influenza turca aiutando apertamente i suoi avversari regionali, come la Grecia, anche a fronte dell’immobilismo dell’Unione europea e del cerchiobottismo della Nato, che per il momento, e anche grazie al suo membro principale – gli Stati Uniti che non intendono prendere una posizione netta per ovvie ragioni – sembra essere poco attiva a livello diplomatico.

Paolo Mauri.  (Inside Over)