(Roma 5 agosto 2020). Le due potenti deflagrazioni hanno distrutto anche la zona di Mar Mikhail, il quartiere armeno oggi sede dei negozi e dei locali più alla moda, e tutta l’area di Ashrafieh, il cuore cristiano della città
Non è un punto qualunque di Beirut quello che è stato devastato ieri dall’esplosione. Il porto è il cuore economico della città e saltando in aria ha trascinato via con sè quello sociale e culturale: la piazza dei Martiri teatro delle rivolte del 2006 e degli ultimi mesi, sede di giornali come Al Nahar e Orient le Jour, distrutte, e poi l’area di Gemmazye e di Mar Mikhail, dove vivono i libanesi benestanti e gli stranieri e pulsa il cuore della vita notturna della città.
Qualunque sia la causa, la prima esplosione è avvenuta in una delle tante aree deposito del porto: da qui passa la grandissima maggioranza delle merci che rendono possibile la vita quotidiana in Libano, un Paese che non produce praticamente nulla e che vive di importazioni, nel comparto alimentare così come in tutti gli altri, dall’energia ai beni di consumo. Impossibile capire cosa accadrà da ora in avanti alle importazioni. La capacità degli altri porti libanesi non è neanche paragonabile a quella di Beirut, cosi come non lo sono al momento le conseguenze economiche di lungo periodo di questa tragedia.
Direttamente investite dall’onda d’urto sono state la zona di Mar Mikhail, il quartiere armeno oggi sede dei negozi e dei locali più alla moda, e tutta l’area di Ashrafieh, il cuore cristiano della città. Distrutte alcune fra le poche case con le tipiche finestre a tre archi che erano sopravvissute alla speculazione edilizia degli ultimi anni, danneggiati luoghi storici come il Museo Sursock. Qui risiedono molti degli occidentali feriti, ma non ci sono ambasciate: per motivi di sicurezza spostate negli anni in aree meglio protette.
È devastata invece piazza dei Martiri, che è completamente aperta verso il mare e la zona del porto. Le immagini che arrivano da Beirut con la luce la riportano indietro agli anni bui della guerra civile, che l’ex premier Rafiq Hariri aveva voluto far sparire con una ricostruzione degna di Disney e contestatissima. L’odore di sangue e la polvere sono oggi tornate in quella piazza dove si era sviluppata potente negli ultimi mesi la protesta che chiedeva un Libano migliore.
(Francesca Caferri – La Repubblica). (L’articolo)