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Russia-Ucraina : i pericolosi consigli di guerra del generale Petraeus

(Roma, 07 dicembre 2025). Sequestrare gli asset russi e colpire l’economia di Mosca con durissime, nuove sanzioni per accelerare la fine della guerra in Ucraina. Le due mosse miracolose evocate dal generale americano David Petraeus, già capo della Cia, in un’intervista al Corriere della Sera per “costringere” la Russia alla pace, sembrano uscite da un laboratorio politico dove la realtà non entra mai. Il congelamento dei beni russi trasformato in un enorme bancomat per Kiev, l’inasprimento delle sanzioni fino a stritolare l’economia di guerra di Mosca, l’idea che l’apparato industriale russo sia fragile come cristallo: tutto avvolto nella certezza che, messa alle strette, la Russia finirà per cedere. È un ragionamento elegante, ma sconnesso dal contesto strategico in cui questo conflitto si misura da quasi tre anni.

Il generale dimentica che la Russia non è un attore qualsiasi. È una potenza nucleare con oltre seimila testate operative, un arsenale tattico che resta il più vasto al mondo e una dottrina militare che, ormai da due decenni, contempla esplicitamente l’uso delle armi atomiche in caso di minaccia esistenziale. E allora la domanda è semplice: che cosa accade quando le “due mosse” suggerite dall’ex direttore della Cia portano Mosca a percepire proprio una minaccia esistenziale? Se davvero l’economia russa è fragile come lui sostiene, se davvero gli attacchi ucraini colpiscono ogni notte infrastrutture critiche, se davvero il fondo sovrano è prossimo all’esaurimento, perché dovremmo credere che il Cremlino resti fermo ad attendere il collasso? In ogni guerra, e la storia lo insegna, un attore che si sente accerchiato risponde alzando la posta, non ritirandosi.

L’idea di confiscare centinaia di miliardi di dollari appartenenti a uno Stato dotato dell’atomica non è solo un salto giuridico azzardato. È un atto di guerra economica che Mosca potrebbe interpretare come preludio al tentativo di sfiancarla definitivamente. E se davvero si arrivasse a “schiacciare l’economia russa”, come auspica Petraeus, la tentazione del Cremlino di spezzare la spirale con un gesto dimostrativo – un’arma tattica su obiettivi militari ucraini, per esempio – diventerebbe più concreta che mai. Il generale parla come se la Russia avesse margini infiniti di sopportazione e come se la deterrenza nucleare fosse un dettaglio superato dall’evoluzione delle tecnologie occidentali. Ma non esiste alcuna garanzia che l’umiliazione economica non si trasformi in un calcolo disperato.

Ma Mosca non segue il manuale

Il punto cieco di Petraeus è proprio questo: la convinzione che la Russia giochi una partita normale, mentre combatte per ciò che percepisce come la propria profondità strategica, il proprio prestigio, i propri confini storici. L’Occidente continua a ragionare nella logica dell’escalation controllata, dei colpi calibrati e delle ritorsioni misurate. Ma Mosca non deve rispettare alcun manuale. Se riterrà che la sua sopravvivenza politica o territoriale è in pericolo, la dottrina le offre strumenti che Kyiv non possiede. E nessuna promessa “a prova di bomba” all’Ucraina potrà cambiare questa asimmetria.

Che l’Europa utilizzi i beni congelati per finanziare l’Ucraina o che si spinga verso un nuovo regime di sanzioni estreme può forse sembrare sensato nei palazzi di Bruxelles o Washington. Ma la stabilità strategica si regge su un equilibrio fatto di proporzioni, percezioni e linee rosse non scritte. L’idea che un Paese accerchiato, bombardato economicamente, isolato finanziariamente e colpito nella sua infrastruttura energetica resti prevedibile è una scommessa rischiosa.

Petraeus evoca un finale pulito, “duraturo, giusto e ragionevole”. Ma il percorso che propone apre invece la porta allo scenario più irragionevole di tutti: quello in cui una potenza nucleare decide che l’unico modo per fermare la pressione occidentale è mostrare che non bluffa. L’Ucraina paga già ogni giorno un prezzo altissimo. Immaginare che si possa costringere la Russia alla pace senza prendere in considerazione la possibilità che reagisca con l’arma più terribile del suo arsenale non è strategia: è un atto di fede. E la fede, in guerra, non ha mai salvato nessuno.

Di Giuseppe Gagliano. (Inside Over)

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