L'actualité du Proche et Moyen-Orient et Afrique du Nord

Lo Zar sfida Europa e gli Stati Uniti : nessuna concessione, pronti altri due anni di guerra

(Roma, 03 dicembre 2025). Il parere degli esperti militari ed economici dopo Anchorage: il Paese può resistere

Vladimir Putin difficilmente parla a caso. E raramente tralascia i propri obbiettivi. Per capirlo basta riascoltarsi il discorso pronunciato alla Conferenza di Monaco del 2007. Con quell’intervento ruppe i ponti con Occidente e Nato accusati di allargare la propria sfera d’influenza ai danni della Russia. Diciotto anni dopo è convinto di poter realizzare gli obbiettivi di Monaco ripetuti, con ancor più enfasi, alla vigilia della cosiddetta « Operazione Speciale ». Non a caso ieri ha imposto un’ora di attesa agli emissari americani Steve Witkoff e Jared Kushner presentatisi al Cremlino con un piano negoziale rivisto in base alle richieste ucraine ed europee. E per farlo capire Putin si è fatto precedere dall’eco di una plateale sfida al Vecchio Continente. « L’Europa – ha detto – non ha nessun piano per l’Ucraina, intende solo combattere con la Russia. Ma se loro inizieranno la guerra, noi siamo pronti. Anche subito ».

La sfida al Vecchio Continente e le umilianti attese imposte a Witkoff e Kushner nascondono obiettivi precisi. Il primo è far capire che nessun piano rivisto in base alle richieste di Londra, Parigi o Berlino avrà la minima speranza di successo. Il secondo è che l’apertura di Washington, per quanto apprezzata, non prelude a risultati immediati, ma solo a un lungo e complesso processo negoziale. Un processo che nei piani del Cremlino deve garantire non solo acquisizioni territoriali, ma anche la totale revisione della cosiddetta « geografia della sicurezza » europea.

Putin, insomma, non si accontenta di annettersi i territori già conquistati degli « oblast » di Kherson, Zaporizhia e Lugansk o di pretendere il ritiro di Kiev da quel 25 per cento del Donetsk ancora sotto il suo controllo. E neppure dell’impegno Usa di tenere l’Ucraina fuori dalla Nato riducendone le capacità militari. Per chiudere la guerra il presidente russo ne pretende la completa smilitarizzazione e la trasformazione in uno stato cuscinetto condannato a delimitare simbolicamente le sfere d’influenza di Washington e Mosca. Neanche questi obiettivi, assai più rigorosi e intransigenti rispetto a quelli prospettati nel vertice di Anchorage, sono frutto del caso. La scelta di Trump di sottoporre agli alleati europei i punti discussi in Alaska infastidì non poco il presidente russo che – come spiegato a Il Giornale da fonti vicine al Cremlino – pretese dai suoi consiglieri militari ed economici una dettagliata valutazione della capacità di continuare la guerra senza rischiare la bancarotta, la mancanza di armamenti o un generalizzato malcontento. Il responso, arrivato ai primi di ottobre, garantirebbe, anche in caso di nuove e più dure sanzioni Usa, un’autonomia finanziaria e strategica di due anni accompagnata da una contenuta erosione dei consensi.

Sulla base di quel responso Putin gioca ora la sua partita con i negoziatori americani e l’Europa. L’invito ai soldati a prepararsi ad un inverno di combattimenti è il segnale di un’offensiva che non si fermerà oltre Pokrovsk o Kupyansk, ma proseguirà verso Kramatorsk e Sloviansk, gli ultimi due centri del Donetsk ancora in mani ucraine. La minaccia di isolare Kiev dal mare prefigura un’avanzata sul porto di Odessa già inserito negli obbiettivi originari dell’Operazione Speciale.

Insomma Putin è convinto di possedere non solo il tempo e la forza, ma anche la legittimazione politica garantitagli dalla corruzione del governo di Zelensky e dalla volontà trumpiana di sottoscrivere con Mosca non un semplice cessate il fuoco, ma nuove alleanze finanziarie e commerciali. E proprio per questo non ha, per ora, nessuna intenzione di fermarsi.

Di Gian Micalessin. (Il Giornale)

Recevez notre newsletter et les alertes de Mena News


À lire sur le même thème