(Roma, 27 novembre 2025). In base all’accordo, le Idf si sarebbero dovute ritirare da tutte le loro postazioni a sud della Linea blu
È passato un anno dall’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Israele e Libano, mentre proprio la settimana scorsa le Forze di difesa di Israele (Idf) sono tornate a colpire Beirut dopo diversi mesi. In base all’accordo tra le due parti, le Idf si sarebbero dovute ritirare da tutte le loro postazioni a sud della Linea blu (linea di demarcazione tra Israele e Libano) in modo graduale entro 60 giorni dal 27 novembre 2024. Il ritiro delle Idf sarebbe dovuto accadere in coordinamento con lo schieramento delle Forze armate libanesi (Laf) nell’area meridionale del fiume Litani.
Allo stesso tempo, le Laf avrebbero dovuto disarmare i gruppi non statali, in particolare il movimento sciita filo-iraniano Hezbollah, smantellare tutte le infrastrutture e garantire che esso restasse unicamente un partito politico. Tuttavia, le Idf continuano a mantenere cinque postazioni in territorio libanese ed effettuare attacchi quasi quotidiani, in particolare nel sud del Paese e nella zona orientale della Beqaa. Neanche il governo di Beirut e le Laf hanno rispettato la propria parte dell’accordo: nonostante un iniziale disarmo dei miliziani presenti nei campi profughi palestinesi in Libano, la situazione è bloccata da almeno due mesi. Israele non è soddisfatto dell’attuazione del piano, che starebbe avanzando troppo lentamente.
Quando ad agosto scorso, le Forze armate libanesi avevano avviato il disarmo dei campi profughi palestinesi, “eravamo ottimisti”, ha affermato oggi un ufficiale delle Idf durante un briefing con la stampa in un punto di osservazione sul Monte Adir, nell’Alta Galilea, in Israele, da cui è possibile vedere sia il confine con il Libano che una parte della Siria. Le Laf “avrebbero dovuto finire il lavoro. Tuttavia, quando hanno tentato di occuparsi anche di Hezbollah, quest’ultimo ha detto a Beirut di fermarsi”, ha spiegato l’ufficiale israeliano, sottolineando che le Idf “non permetteranno a Hezbollah di avvicinarsi al confine” con lo Stato ebraico. Secondo la stessa fonte, ci sono tanti fattori per cui le Laf “sono in ritardo nel rispettare la loro parte dell’accordo”, tra cui il fatto che ci possano essere legami familiari tra i membri di Hezbollah e i militari libanesi. “Nello stesso tempo, però, l’Iran sta ricominciando a finanziare Hezbollah”, ha evidenziato l’ufficiale. Proprio ieri, Ali Akbar Velayati, consigliere della guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, ha dichiarato in un’intervista rilasciata all’agenzia iraniana “Tasnim” che il movimento sciita libanese “è più essenziale del pane e dell’acqua per il Libano”. “La situazione è sotto controllo al momento, ma non è chiaro come evolverà”, ha spiegato l’ufficiale.
Nei giorni scorsi, le Forze di difesa di Israele hanno colpito Beirut, la capitale libanese (il cui quartiere meridionale, Dahiyeh, è una roccaforte di Hezbollah), innalzando la tensione e riaccendendo i timori per una nuova escalation. Il 23 novembre, l’aviazione israeliana ha colpito Haret Hreik, sobborgo meridionale della capitale, uccidendo cinque persone e ferendone 28, secondo quanto riportato dal ministero della Sanità libanese. L’obiettivo dell’attacco era Haytham Ali Tabatabai, capo di Stato maggiore di Hezbollah, leader militare considerato il secondo maggiore esponente del movimento sciita filo-iraniano dopo il segretario generale Naim Qassem.
Secondo funzionari dell’intelligence israeliana citati dal quotidiano “Haaretz”, la rappresaglia di Hezbollah contro Israele “potrebbe essere diretta a obiettivi ebraici in Paesi stranieri”. Secondo quanto riportato in un comunicato delle Idf, Tabatabai “era una figura centrale di Hezbollah, essendosi unito ai suoi ranghi negli anni ’80 e avendo ricoperto una serie di posizioni di leadership, tra cui comandante della Forza Radwan (unità militare speciale del gruppo filo-Iran) e ufficiale operativo in Siria”. Durante la sua permanenza in Siria, hanno riferito le forze israeliane, il miliziano “ha rafforzato la presenza del gruppo terroristico nel Paese”. Alla fine del 2024, Tabatabai ha poi assunto la carica di capo di Stato maggiore, “guidando gli sforzi di ricostruzione del gruppo e impegnandosi a riabilitare le unità per la guerra contro Israele”.
Secondo diversi analisti, l’operazione del 23 novembre rappresenta un tentativo di aumentare la pressione sul movimento sciita e sul piano di disarmo approvato la scorsa estate dal governo di Beirut. Lo Stato ebraico “non permetterà a Hezbollah di ricostruire le sue forze e di rappresentare una minaccia”, ha affermato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, aggiungendo: “Mi aspetto che il governo libanese disarmi Hezbollah”. Commentando poi l’uccisione di Tabatabai, Netanyahu ha affermato che il comandante “era un assassino con le mani sporche del sangue di israeliani e statunitensi”. “Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano offerto una ricompensa di 5 miliardi di dollari” a chiunque avesse potuto fornire informazioni sul suo conto, ha detto il primo ministro israeliano. Dopo il bombardamento di Beirut, il premier libanese, Nawaf Salam, ha invece commentato che il suo governo si sta preparando alla possibilità di una nuova offensiva israeliana su larga scala.
Ieri, Salam ha affermato che il governo sta lavorando per ripristinare la fiducia nello Stato, riformando le amministrazioni e rafforzando le forze armate per sostituire la Forza di interposizione delle Nazioni Unite in Libano (Unifil), il cui ritiro è programmato per la fine del prossimo anno. Il premier ha anche ribadito che il suo esecutivo considera una priorità il ritiro di Israele dalle cinque postazioni che sta ancora occupando nel sud del Paese. Salam ha sottolineato che non vi sono ostacoli ai negoziati con Israele, osservando che il presidente del Parlamento Nabih Berri aveva ragione quando affermava che esiste un meccanismo e un comitato negoziale, “ma non sono stati compiuti progressi in questo senso”. Secondo quanto detto oggi alla stampa dall’ufficiale delle Idf, “senza Hezbollah in Libano, la pace con Israele si raggiungerebbe nel giro di pochi giorni”.
In base all’accordo di tregua tra Israele e Libano, “entrambe le nazioni mantengono il diritto all’autodifesa, in conformità con il diritto internazionale”, e “segnaleranno le presunte violazioni al meccanismo tripartito e alla Forza di interposizione delle Nazioni Unite in Libano (Unifil)”. L’Unifil ha recentemente reso noto che in 12 mesi ha registrato circa 10 mila violazioni dell’accordo di cessate il fuoco da parte delle Idf, sia con attacchi aerei che incursioni terrestri. L’Unifil ha inoltre confermato che Israele sta costruendo un muro al confine con il Libano oltrepassando la Linea blu, impedendo l’accesso a 4 mila metri quadrati di territorio libanese. L’iniziativa, ha precisato l’Unifil, costituisce una violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che invece, secondo l’accordo di tregua, sia Israele che Libano si sono impegnati a rispettare.
“Hezbollah viola l’accordo di tregua, con diversi miliziani che si avvicinano al confine, e anche noi eliminiamo ogni postazione di Hezbollah. Ma c’è una differenza: noi cerchiamo di non fare danni collaterali. A Gaza, tre civili su dieci sono morti nei nostri attacchi, in Libano solo due”, ha detto oggi alla stampa l’ufficiale delle Idf sul Monte Adir. Stando a quanto riferito martedì 25 novembre dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), almeno 127 civili sono stati uccisi negli attacchi delle Idf da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco tra Israele e Libano. Il portavoce dell’Ohchr, Thameen al Kheetan, aveva dichiarato in una conferenza stampa a Ginevra: “A quasi un anno dal cessate il fuoco concordato tra Libano e Israele, continuiamo ad assistere a un’escalation degli attacchi da parte dell’esercito israeliano”. “Ciò ha provocato la morte di civili e la distruzione di obiettivi civili in Libano, insieme a preoccupanti minacce di attacchi più ampi e intensi”, aveva aggiunto il funzionario, precisando che la cifra indicata include solo i decessi che l’agenzia è stata in grado di verificare e che il numero reale potrebbe essere più alto.
Oggi, la coordinatrice speciale delle Nazioni Unite per il Libano, Jeanine Hennis-Plasschaert, ha invitato Beirut e Israele a impegnarsi nel dialogo, affermando che tale comunicazione contribuirebbe a stabilire una comprensione reciproca degli impegni in sospeso e ad aprire la strada alla sicurezza e alla stabilità che entrambe le parti ricercano. In una dichiarazione riportata dall’emittente libanese “Lbci”, la funzionaria ha ricordato che un anno fa è entrato in vigore l’accordo sulla cessazione delle ostilità tra Israele e Hezbollah, che “ha offerto una certa speranza e ha suscitato aspettative sulla possibilità di soluzioni più sostenibili, soprattutto in un periodo di cambiamenti regionali”. Tuttavia, Hennis-Plasschaert ha sottolineato che, nonostante il rafforzamento della presenza delle Laf nel sud e le importanti decisioni prese dal governo, l’incertezza persiste. “In effetti, per molti libanesi il conflitto è ancora in corso, anche se a un’intensità inferiore”, ha affermato la funzionaria, sottolineando che “non serve una sfera di cristallo per capire che, finché persisterà l’attuale status quo, lo spettro di una ripresa delle ostilità rimarrà sempre presente”.
L’accordo di tregua prevede anche che gli Stati Uniti, in collaborazione con l’Onu, facilitino i negoziati indiretti tra Israele e Libano per risolvere i punti controversi rimanenti lungo la Linea blu, in conformità con la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza. Per quanto riguarda l’Unifil, la fonte ufficiale israeliana ha commentato che c’è un “buon rapporto” tra le Idf e il generale italiano Diodato Abagnara, comandante della missione Onu. Tuttavia, da quando l’Onu ha deciso di concludere il mandato della missione entro la fine del 2026, secondo la stessa fonte, alcune forze Onu “hanno iniziato a essere più aggressive, hanno abbattuto un nostro drone, hanno mandato una pattuglia vicino al nostro confine”. Inoltre, sarebbero state individuate alcune posizioni di Hezbollah davvero vicine alla base Onu. Allo stesso tempo, ha precisato la fonte, all’interno dell’Onu “Israele non ha nemici”.
A un anno dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, è prevista anche una visita in Libano di Papa Leone XIV – attualmente in Turchia – da domenica 30 novembre a martedì 2 dicembre. Nel Paese dei cedri, il Pontefice terrà una visita di cortesia al presidente della Repubblica libanese, Joseph Aoun, oltre a incontrare il presidente del Parlamento Nabih Berri e il primo ministro Nawaf Salam. “La Santa Sede è attenta al Libano proprio perché, citiamo ormai una frase abusata, ‘è un messaggio più che un Paese’, nel senso che si è realizzata una convivenza pacifica tra le varie religioni, tra i vari gruppi etnici, e questo deve continuare. La Santa Sede sempre è stata vicino proprio per questo, e continuerà ad essere vicino. Penso che la presenza del Papa voglia dire soprattutto questo”, ha affermato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano.