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Gaza, i timori di Israele: la forza di stabilizzazione può «commissariare» Tel Aviv

(Roma, 06 novembre 2025). La Forza di Stabilizzazione pensata nel quadro degli accordi di Sharm-el-Sheikh per consolidare le prossime fasi del cessate il fuoco tra Israele e Hamas non è ancora nata ma fa già discutere. E i suoi perimetri saranno tutti da definire. Ammesso che prenda mai forma.

Dal cessate il fuoco alla pace, tanta nebbia e poche certezze

Nel quadro dei negoziati mediati da Egitto, Qatar e Usa, con la spinta finale della Turchia, proprio la presenza di questa forza di pace avrebbe dovuto garantire il passaggio dal semplice “cessate il fuoco” (violato a più riprese nell’ultimo mese dai raid israeliani su Gaza) alle premesse di una pace stabile, contribuendo al passaggio dell’amministrazione della Striscia da Hamas all’Autorità Nazionale Palestinese e alla consegna delle armi da parte dei militanti islamisti.

Sul fronte della governance di Gaza, Hamas ha negoziato con l’Anp sull’istituzione di un comitato tecnico per amministrare la sicurezza ai confini e i passaggi ai valichi di frontiera, come ha dichiarato ad Al Jazeera il portavoce di Hamas Moussa Abou Marzouk.

Su quello della forza di stabilizzazione, invece, pochi progressi. Ad oggi non si ha certezza delle regole d’ingaggio della forza di stabilizzazione, del numero di Paesi che la comporranno, delle relazioni con le Nazioni Unite o altre organizzazioni internazionali. Tutto resta nebuloso. E va registrato che da fonti di stampa appare principalmente emergere la tensione del governo israeliano di Benjamin Netanyahu sulle conseguenze dell’entrata in campo di tale forza.

Israele teme di essere commissariata

Lo hanno riportato Channel 12 e il Times of Israel citando fonti di sicurezza di Tel Aviv: il timore del governo Netanyahu è che dopo oltre due anni di guerra la forza di stabilizzazione “commissari” Israele e la sua possibilità di operare (impunemente, ça va sans dire) a Gaza. La forza internazionale di stabilizzazione (Isf) dovrà gestire il disarmo di Hamas e la sicurezza di Gaza, ma opererà congiuntamente a un ritiro dell’Israel Defense Force da altre parti della Striscia, di cui occupa ancora circa il 58%.

Il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer sta facendo pressione sugli Usa per annacquare le prescrizioni contenute nella bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu con cui Washington intenderebbe chiedere un mandato biennale per l’Isf, temendo che la “internazionalizzazione” del conflitto sia contraria agli interessi israeliani. I quali coincidono, in larga parte, con la volontà di occupazione totale. Chiaramente, è nell’interesse israeliano far sì che non sia l’Onu, come invocato dal segretario generale Antonio Guterres, a mettere il cappello all’Isf, dato che questo vincolerebbe Tel Aviv al rispetto di molte norme internazionali, pena la violazione di una risoluzione promossa dall’alleato americano.

Forza di stabilizzazione, la pressione di Israele sugli USA

La forza, secondo la bozza della risoluzione Onu degli Usa “sarà incaricata di proteggere i confini della Striscia di Gaza con Israele ed Egitto, di garantire la sicurezza dei civili e delle zone umanitarie e di formare e formare nuovi agenti di polizia palestinesi”, nota il Times of Israel, mentre un coordinamento Tel Aviv-Il Cairo è ritenuto fondamentale anche per l’amministrazione della transizione da Hamas alla nuova Gaza. Per Tel Aviv, chiaramente, questo aprirebbe la strada a un ruolo dell’Anp, e dunque alla sovranità palestinese: fumo per gli occhi per l’esecutivo nazionalista israeliano.

“Nonostante inizialmente si fosse opposto a un mandato guidato dalle Nazioni Unite, Israele alla fine ha ceduto alle pressioni degli Stati Uniti, ma sta ancora esercitando pressioni affinché il testo della risoluzione sia adattato ai suoi obiettivi militari e politici”, nota Middle East Eye.

Il nodo della Turchia

Infine, Israele frena anche sui Paesi membri di questa missione. A inizio cessate il fuoco si pensava che dietro il comando egiziano, per ragioni logistiche e geografiche, potesse emergere una task force con dentro i mediatori mediorientali, come Qatar e Turchia. Su Ankara, però, è calato il veto di Netanyahu, che teme la presenza di un ingombrante rivale boots on the ground nella Striscia, mentre Recep Tayyip Erdogan e il suo governo accusano che i ritardi sull’Isf siano dovuti soltanto agli strappi di Bibi col cessate il fuoco.

Ad oggi, l’ipotesi di studio è che siano due Paesi, Azerbaijan e Indonesia, a fornire buona parte del contingente: sono Stati musulmani, non arabi, legati rispettivamente a Tel Aviv e ai governi del Golfo, amici degli Usa e da essi ritenuti fidati, con disponibilità materiali e copertura politica interna e internazionale. Ma si tratta, ovviamente, di riflessioni preliminari. Tutto è incerto in un Medio Oriente dove lo stesso cessate il fuoco è stato spesso tale solo sulla carta. E la strada per la pace si preannuncia ancora irta.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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