(Roma, 19 ottobre 2025). Domenica di violenza quella di Gaza, a oltre una settimana dal cessate il fuoco firmato da Israele e Hamas e dopo la liberazione degli ostaggi detenuti dal gruppo islamista: a seguito dell’esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) sotto un veicolo militare due soldati dell’Israel Defense Force sono stati uccisi e tre rimasti feriti in un tragico incidente dai contorni poco chiari. Hamas si è affrettata a dire che il bersaglio non erano i militari israeliani ma le milizie che le contendono il controllo di Gaza e che ritengono essere sostenute da Tel Aviv. Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu ha però ordinato pesanti bombardamenti su Khan Younis e Rafah.
Almeno 21 i morti negli attacchi aerei dell’Idf, che il governo ha dichiarato essere indirizzati contro le postazioni di Hamas ma che hanno colpito anche diversi obiettivi civili, tra cui dei rifugi che ospitavano dei civili sfollati. Il Times of Israel ha ripreso nella sua cronaca, novità interessante, le immagini dei canali palestinesi che mostravano importanti colonne di fumo alzarsi dalla Striscia, tra cui quello del network gazawi Quds di seguito riportato.
A suo modo, una maniera per mostrare ai cittadini israeliani la guerra con gli occhi dei palestinesi. O anche per dare conto dell’ampiezza della mossa con cui Netanyahu ha ordinato di rispondere all’incidente odierno, decisamente sproporzionata rispetto all’incidente che si intendeva vendicare. A buon intenditor, poche parole: c’è una fetta di informazione e opinione pubblica che maldigerisce la guerra e sta arrivando a manifestare, nei limiti del possibile, il proprio malessere.
Al contempo, la politica israeliana ha continuato sul binario noto. “Hamas pagherà un prezzo elevato per ogni sparatoria e violazione del cessate il fuoco, e se il messaggio non verrà recepito, l’intensità delle risposte aumenterà”, ha dichiarato il ministro della Difesa Israel Katz parlando delle manovre di Tel Aviv e dando per scontato che questa mossa fosse la prima violazione dal 10 ottobre, giorno della ratifica della tregua. Così non è.
Per quanto torbida, la questione della morte die due soldati di Tel Aviv avrebbe meritato maggior approfondimento prima del lancio della rappresaglia. E, inoltre, da giorni lo Stato Ebraico deve affrontare analoghe accuse provenienti da Gaza: l’ufficio media di Gaza dichiara che sono almeno 47 le violazioni di cui accusa Tel Aviv. 38 i morti dalla tregua registrati a ieri: siamo a 59 con oggi. E mentre Israele aspetta da Hamas i corpi degli ostaggi morti ancora da riconsegnare, chiude il valico di Rafah agli aiuti provenienti dall’Egitto: anche qui, gli accordi vedono accuse bilaterali di violazione.
La fragile tregua viene costantemente messa alla prova mentre, al contempo, la politica si muove. In Israele la crisi odierna ha spinto al rinvio dell’imminente udienza in tribunale di Netanyahu per “urgenti incontri diplomatici”. L’Egitto nel frattempo lavora al consolidamento dell’accordo in 2o punti proposto dal presidente Usa Donald Trump, si muove per costruire la possibile, futura Forza Internazionale di Stabilizzazione di Gaza. Per ora l’Indonesia è l’unica nazione che ha dichiarato di volersi aggiungere ai mediatori (Egitto, Qatar, Turchia) nel quadro della forza in questione, ma fonti israeliane parlano che ad esse potrebbe unirsi anche l’Azerbaijan. Al Jazeera, infine, nota che al Cairo è giunta una delegazione di Hamas, guidata dall’alto funzionario Khalil al-Hayya, per approfondire il confronto sulla tregua e la roadmap verso la pace. Una pace verso la quale il percorso sarà ancora lungo e doloroso, anche alla luce della conta dei morti che finora questi giorni hanno portato con loro.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)