(Roma, 26 agosto 2025). Altra chiamata tra Donald e lo zar: “Credevo che l’intesa fosse più facile, summit entro 2 settimane” Poi dice che vedrà Xi e Kim
Se il tentativo di Donald Trump di riportare la pace fra Mosca e Kiev non è ancora fallito, certamente è ormai in sala di rianimazione. Si capisce dai commenti fatti ieri dal presidente americano, che è tornato a dare un paio di settimane di tempo al presidente russo Putin e a quello ucraino Zelensky per incontrarsi, minacciando «conseguenze» se non lo faranno.
Lui stesso ha riconosciuto che la mediazione si è dimostrata assai più difficile di quanto pensasse, ma i critici gli rimproverano di aver contribuito a provocare lo stallo rifiutando di esercitare qualsiasi pressione significativa sul capo del Cremlino. Ora vuole aprire altri due dossier complicati, col cinese Xi e il nordcoreano Kim, con il rischio di non concludere nulla su alcun fronte, mentre avverte che cambierà il nome del ministero della Difesa in dipartimento della Guerra.
Trump ha rivelato di aver parlato con Putin un’altra volta, dopo la chiamata il giorno del vertice con Zelensky e i leader europei alla Casa Bianca. «È andata bene, le nostre conversazioni vanno sempre bene», ma non producono i risultati sperati. Il presidente ha ammesso che il leader di Mosca non vuole vedere quello di Kiev «perché non gli piace. In realtà non si piacciono a vicenda». Lui però insiste: «Putin e Zelensky dovrebbero incontrarsi, potrebbero esserci conseguenze se non lo fanno. Vediamo cosa succede in una o due settimane, a quel punto interverrò. Dipende da loro, non noi».
Il presidente ha ammesso il suo errore di prospettiva, se non la falsa promessa in campagna elettorale di chiudere il conflitto nel giro di 24 ore: «Pensavo sarebbe stato facilissimo. Invece è molto complicato». Sarebbe stato meglio pensarci prima o prepararsi meglio, però poi è tornato a far capire da che parte pende, definendo Zelensky «il miglior venditore di sempre». Ha ripetuto le accuse al predecessore Biden che «aveva speso 350 miliardi», anche se in realtà la cifra non è questa. Anche lui però ci sta cascando, perché dopo l’ultima visita del leader ucraino ha sbloccato aiuti, pur pretendendo che a pagare siano gli europei: «Non spendiamo più un soldo per l’Ucraina. Trattiamo con la Nato, non Kiev». Nel caso si arrivasse ad un accordo, «non sappiamo quali saranno le garanzie di sicurezza, perché non ne abbiamo discusso i dettagli», però gli Usa parteciperanno, anche se non metteranno soldati sul terreno o altri finanziamenti sul piatto.
Nelle stesse ore Zelensky ha incontrato a Kiev l’inviato speciale di Trump, il generale Keith Kellogg. L’ucraino ha notato che da Putin non è arrivata alcuna apertura reale per arrivare ad un accordo, ma «apprezziamo la disponibilità degli Usa a far parte dell’architettura di sicurezza per l’Ucraina e i nostri team stanno lavorando attivamente per plasmarla. Ci aspettiamo che i fondamentali della sicurezza saranno definiti a breve. Abbiamo discusso di come possiamo influenzare i russi, costringerli a impegnarsi in veri negoziati e porre fine alla guerra. Sanzioni, dazi: tutto deve rimanere all’ordine del giorno».
Quanto al bilaterale con Putin, «siamo pronti a impegnarci nel formato tra i leader. È necessario per risolvere le questioni chiave. Ma la stessa disponibilità serve da parte di Mosca». Chiaro il tentativo di scaricare la responsabilità del mancato accordo sul Cremlino, nella speranza che Trump lo punisca, mosso anche da altre ragioni: «Ci auguriamo vivamente che l’America, il presidente e la First Lady degli Stati Uniti continuino a impegnarsi personalmente per riportare indietro tutti i bambini rapiti illegalmente dalla Russia».
Di Paolo Mastrolilli. (La Repubblica)