(Roma, 17 agosto 2025). Donald Trump e Volodymyr Zelensky, atto secondo alla Casa Bianca. Domani il presidente ucraino torna nello Studio Ovale per la prima volta dalla negativa visita del 28 febbraio, quando il suo confronto con The Donald si risolse in un fiasco che allontanò Washington e Kiev, ma l’occasione è totalmente diversa. Trump è reduce del summit con Vladimir Putin in Alaska e intende accelerare sulla chiusura della guerra in Ucraina.
I vertici Trump-Zelensky, compreso San Pietro
C’è fretta e urgenza: i leader di Usa e Russia hanno manifestato soddisfazione per l’esito dell’incontro di Ferragosto, senza però rivelare dettagli particolari di quanto concordato, e l’arrivo a stretto giro del capo di Stato ucraino a Washington lascia intendere che un passaggio decisivo sia in corso. L’obiettivo esplicito è un summit a tre, Trump-Putin-Zelensky, per suggellare una possibile fine del conflitto.
Prima ancora dei desiderata concreti dei leader, ivi compresa la spinta di Trump su Zelensky perché accetti anche solo di fatto la perdita di parte dei territori, conta capire se un metodo operativo si consoliderà: negoziati diretti, franchi, concreti e orientati al risultato. Da condurre ai massimi livelli.
Lo spirito, tra Trump e Zelensky, non intende essere quello della burrasca alla Casa Bianca ma, piuttosto, quello dell’ultimo faccia a faccia andato in scena nella Basilica di San Pietro il 26 aprile scorso ai margini dei funerali di Papa Francesco. Quel giorno, auspice la Cappella Sistina e lo sguardo del Giudizio Universale di Michelangelo, qualcosa è cambiato nel rapporto tra Trump e Zelensky. Il primo ha cessato di snobbare l’omologo ucraino e ha rinunciato all’idea che una pace nel martoriato Paese ex sovietico possa esser conclusa senza Kiev. Il secondo si è reso conto del fatto che l’alleanza decisiva per il futuro del suo Stato è quella con Washington, il cui peso specifico è ben maggiore di quello degli europei.
L’Europa spettatrice
La presenza annunciata alla Casa Bianca di Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Mark Rutte, Friederich Merz e altri big europei, nel ruolo autoassegnato di “facilitatori” diplomatici, è peraltro paradigmatica della diplomazia dei tempi che corrono. L’Europa osservò a distanza il battibecco del 28 febbraio, i leader europei non si sono seduti a fianco di Trump e Zelensky a San Pietro e men che meno hanno toccato palla a Anchorage nel summit Usa-Russia.
Domani a Washington sfileranno diversi grandi d’Europa, in un ruolo però di semplici comprimari. Osservatori da vicino, certamente, ma pur sempre osservatori, tanto che il vero ruolo critico sarà forse quello di Alexander Stubb, presidente della Finlandia, grande amico (e compagno di golf) di Trump, che ascolta con particolare attenzione il leader di Helsinki, peraltro a capo del Paese del campo euroatlantico che condivide il maggiore confine terrestre con Mosca e ha grande interesse a conoscere le future garanzie securitarie che Putin intende offrire all’estero vicino in caso di pace.
Stubb è, secondo Politico.eu, chiamato al ruolo di sintesi e mediatore tra le istanze di Zelensky e quelle di Trump, a rendere concreta la spinta del primo a abbracciare il “coraggio del negoziato” e a riaffermare l’impegno del secondo a una “pace giusta“.
La storia corre veloce
La storia corre veloce tra Anchorage e Washington, anche perché nel quadro del serrato negoziato russo-americano l’Ucraina, come ha ricordato il direttore Fulvio Scaglione, è un passaggio e non un punto d’arrivo.
Il summit in Alaska è stato un vero proprio summit bilaterale tra i due Paesi oltre l’incontro Trump-Putin. E tanto The Donald quanto lo Zar del Cremlino hanno aspettative importanti dal rapporto bilaterale, che mirano ad espandere fino a dialogare di tutti i maggiori temi caldi per il pianeta, dal Medio Oriente alla questione del nucleare iraniano passando per il futuro della deterrenza atomica e il controllo degli armamenti.
La fine della guerra in Ucraina è un passaggio fondamentale, una condizione non sufficiente a ristabilire la piena relazione bilaterale ma sicuramente necessaria a farla decollare. Alla Casa Bianca Trump e Zelensky dovranno capire se ci sono i margini per la volata finale per porre fine alla guerra dopo tre anni e mezzo. Tutto questo mentre un summit a tre con Putin è ormai nelle categorie del possibile e si conferma l’immobilità dell’Europa. Una volta di più spettatrice e oggetto, non soggetto, di una storia che marcia di pari passo con l’attualità.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)