(Roma, Parigi, 16 agosto 2025). L’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin a Anchorage, Alaska, è stato uno scenografico teatro politico in cui sono emersi tre dati importanti: in primo luogo, il ritorno di una diplomazia ad altissimi livelli tra Russia e Usa, quattro anni dopo il meeting di Ginevra tra Putin e Joe Biden; in secondo luogo, l’ampiezza dell’oceano che separa i due Paesi dopo anni di sostanziale gelo diplomatico; infine, la consapevolezza che un accordo per porre fine alla guerra in Ucraina non sarà facile da raggiungere e, come avevamo previsto, mai e poi avrebbero potuto farlo i due leader con una stretta di mano.
Trump-Putin tra passi in avanti e prossime mosse
Si deve registrare l’indubbio dato positivo della riapertura del dialogo e della decisione degli storici avversari di sedersi allo stesso tavolo. Ma chiunque pensasse ad Anchorage come a un punto di arrivo è rimasto deluso. Semmai l’Alaska ha fatto iniziare un lungo cammino la cui strada resta irta e in salita.
Trump, dopo il summit, parlando con Sean Hannity di Fox News ha detto che la strada è spianata per un dialogo esteso al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, senza specificare però se una base negoziale sia stata gettata. L’Economist cita l’idea di un primo cessate il fuoco “aereo”, che però non ha ancora ricevuto i crismi della proposta ufficiale.
Trump e Putin hanno parlato a lungo, ma dalla conferenza stampa è sembrato emergere un meeting “parallelo” e estremamente asimmetrico. Come altrimenti non poteva essere quando a incontrarsi sono due profili di leader tanto diversi.
Trump ha agito, more solito, da palazzinaro e giocatore di poker: azzardi, prove di forza, dimostrazione muscolari come il volo di un bombardiere B-2 Spirit scortato da caccia F-22 sopra la base Elmendorf-Richardson all’arrivo di Putin. Questi è stato scacchista e judoka, nella miglior tradizione russa e personale, e alla prova dei fatti è doveroso chiedersi da che base un possibile futuro incontro tra le diplomazie dei due Paesi, un nuovo summit Putin-Trump o addirittura un triangolare esteso all’Ucraina dovrà partire.
Concretezza e ambiguità
Dietro la patina del meeting e la sorprendente cordialità, resta un dato di fatto: l’ambiguità di fondo che circondava l’inizio del summit non è stata dipanata. E continua a ruotare attorno a una serie di dati di fatto insindacabili. In primo luogo, Trump è disposto a concedere a Putin un esito sulla carta positivo della guerra in Ucraina e addirittura ad aprire alla cessione di territori, de facto se non de iure, senza però arrivare agli obiettivi strategici desiderati dal leader del Cremlino.
Gli Usa hanno fretta di chiudere la guerra per concentrarsi sull’Estremo Oriente e la Cina, la Russia questa ansia non ce l’ha ma sa che il piatto offerto da Washington appare ridimensionato rispetto a quanto Mosca auspica di ottenere (sul piano territoriale e strategico) e soprattutto non giustificante lo sforzo di tre anni e mezzo di guerra con i lutti, i danni al commercio e all’economia e la mobilitazione interna che hanno comportato.
In secondo luogo, Washington e Mosca si comportano come se stessero muovendo in un eterno 1945, o comunque in una Guerra Fredda mai finita, dove l’incontro tra i due imperatori, l’inquilino della Casa Bianca e quello del Cremlino, poteva davvero comportare decisioni immediate e sostanzialmente esecutive per il mondo. Ad oggi, nemmeno l’azionista di maggioranza dell’ordine globale, gli Usa, o la prima potenza nucleare globale, la Russia, possono arrogarsi questo diritto, e anche il loro rapporto bilaterale resta incapace di creare dinamiche tettoniche di questo tipo. Il mondo è cambiato, è più complesso e più competitivo anche per Mosca e Washington.
L’ordine globale pensato da Trump e Putin
Infine, va capito in prospettiva che genere di ordine mondiale Trump e Putin abbiano in mente oltre il “riflesso imperiale” che il loro approccio sembra far emergere.
La suggestione della “Nuova Yalta” affascina e concupisce, ma è davvero realizzabile? Trump è disposto a mettere in discussione lo spazio egemonico di riferimento degli Usa, la presa di Washington sull’Europa, in nome dell’appeasement con la Russia? E Putin vuol davvero favorire, con un esito rapido della guerra in Ucraina, il possibile rischieramento degli States contro il suo principale partner, la Cina? Pechino come sta leggendo queste dinamiche, provenienti da oltre Pacifico e da quella Anchorage che nel 2021 fu sede di colloqui approfonditi, ma che sigillarono forse definitivamente la trasformazione dei rapporti Washington-Pechino in rivalità bilaterale? Tutte queste domande dovranno ricevere adeguata risposta.
Ferragosto è stata l’occasione delle prime, fondamentali, parole. Il futuro dovrà presentare dei fatti. Decisivi per l’Ucraina, la Russia, gli Usa e una grossa fetta dell’intero ordine globale. Un dato di fatto ineludibile, però, resta: qualcosa si è messo in movimento. A Trump, Putin e gli altri grandi della terra il compito di capire e decidere dove porteranno questi cambiamenti.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)