(Roma, 23 giugno 2025). I recenti attacchi aerei americani su tre siti nucleari iraniani, accompagnati dalle parole bellicose del presidente Donald Trump, che su Truth Social ha evocato la possibilità di un cambio di regime a Teheran, hanno riacceso i riflettori su un piano strategico delineato nel 2009 dalla Brookings Institution. Intitolato Which Path to Persia? Options for a New American Strategy Toward Iran, il documento proponeva una serie di opzioni per destabilizzare l’Iran, tra cui l’idea di utilizzare Israele come proxy per un attacco militare. L’ipotesi è che l’amministrazione Trump abbia fatto suo tale documento, naturalmente aggiornandolo e adattandolo alle nuove necessità.
Il piano del 2009 del Brookings
Il rapporto della Brookings è redatto da esperti e “falchi” della politica estera Usa come Kenneth Pollack (ex analista CIA), Bruce Riedel (veterano CIA) e Martin Indyk (ex ambasciatore USA in Israele). Il documento analizza nove opzioni strategiche – dalla diplomazia alla guerra aperta – riconoscendo che “nessuna è perfetta e tutte comportano rischi significativi”. Tra queste, il cambio di regime emerge come un obiettivo ambizioso, perseguito attraverso mezzi che spaziano dal sostegno a insurrezioni interne a interventi militari indiretti. Il capitolo “Leave It to Bibi: Allowing or Encouraging an Israeli Military Strike” propone un approccio particolarmente audace, che sembra riecheggiare negli eventi recenti.
Il capitolo suggerisce di “permettere o incoraggiare un attacco militare israeliano” contro le infrastrutture nucleari iraniane, lasciando che Israele si assuma la responsabilità diretta. Gli autori sottolineano i vantaggi di questa strategia: “Un attacco israeliano potrebbe ottenere molti degli stessi benefici di un attacco americano, ma con il vantaggio che gli Stati Uniti potrebbero plausibilmente negare il loro coinvolgimento”. Tuttavia, ammettono i rischi: “Un’azione israeliana potrebbe innescare una rappresaglia iraniana contro Israele, e potenzialmente contro interessi americani, nonostante la posizione ufficiale statunitense”. Inoltre, un attacco potrebbe “compromettere il sostegno internazionale per le sanzioni” contro l’Iran, complicando la diplomazia.
La tecnica dell’inganno
Il piano propone anche una strategia diplomatica manipolativa: avviare negoziati con Teheran, offrendo incentivi economici e politici, ma con l’aspettativa che l’Iran li rifiuti. “Se l’Iran rifiuta l’offerta, gli Stati Uniti potrebbero giustificare un’escalation, sostenendo che gli iraniani ‘se la sono cercata’”, scrivono gli autori. Questo approccio, secondo l’analista Brian Bertelec, mira a costruire una narrazione che legittimi un’azione militare, dipingendo l’Iran come intransigente. Sembra per sommi capi ciò che accaduto: le richieste massimaliste di Donald Trump sull’arricchimento zero sembravano mosse dalla convinzione che Teheran avrebbe certamente rifiutato le condizioni poste da Washington. A quel punto, gli Usa hanno potuto “giustificare” la loro azione militare contro le strutture nucleari iraniane.
Cos’è e chi finanzia il Brookings
Il Brookings Institution, fondato nel 1916, è un influente think tank con sede a Washington, D.C., dedicato a “produrre ricerche approfondite e apartitiche per affrontare le sfide di politica pubblica, economia e governance” a livello locale, nazionale e globale. “La nostra missione è condurre ricerche approfondite e apartitiche per migliorare le politiche e la governance”, dichiara l’organizzazione, sottolineando l’importanza di “qualità, indipendenza e impatto” nel suo lavoro. Finanziato da donazioni individuali, fondazioni come la Bill & Melinda Gates Foundation, aziende come Google e Microsoft, e talvolta governi stranieri, il Brookings dichiara di “impegnarsi a mantenere un approccio rigoroso e pragmatico”.
Di Roberto Vivaldelli. (Inside Over)