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Qui Iran : dopo gli attacchi Usa il difficile dilemma tra reazione e negoziato

(Roma, 22 giugno 2025). L’attacco statunitense all’Iran di questa notte è l’evento a cui la Repubblica Islamica si prepara da oltre 45 anni, da quel 24-25 aprile 1980 in cui l’Operazione Eagle Claw, il tentativo di liberazione degli ostaggi nell’ambasciata americana nell’ex Persia, mise definitivamente su parti opposte delle barricate Washington e Teheran. Ma è anche un attacco che crea grandi problemi e dilemmi per il governo iraniano, già sotto attacco da oltre una settimana da parte dell’aviazione israeliana, ne mostra una volta di più la natura duale.

Da un lato, ci sono i Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran martellati dal 13 giugno scorso dall’Israel Air Force e nel mirino delle missioni degli F-15, F-16 e F-35 di Tel Aviv; dall’altro il governo civile, col presidente Masoud Pezeshkian in una posizione difficile, schiacciato dai radicali, e il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, reduce dai colloqui a Ginevra con le controparti europee, spiazzato dopo aver condotto le trattative in Oman e a Roma con le controparti Usa. In mezzo l’autorità più alta dell’Iran, la Guida Suprema Ali Khamenei, che in pochi giorni vede messa in discussione l’opera di una vita intera e messo sotto attacco il suo stesso regime.

Presidente della Repubblica dal 1981 al 1989 durante la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein e poi successore di Ruhollah Khomeini, Khamenei è oggi al tempo stesso nel mirino di Israele, che non ne esclude l’eliminazione fisica, e chiamato a decisioni pesanti per il futuro del Paese. Perso l’Asse della Resistenza smantellato da Israele dopo il 7 ottobre 2023, ora la prospettiva è che sia stato perso sotto i colpi dei B-2 Spirit Usa anche ciò che restava di un programma nucleare che per l’Iran era leva negoziale e orgoglio nazionale. Al tempo stesso, l’Idf ha libertà operativa nei cieli iraniani e mira all’arsenale missilistico dell’Iran.

La catena di comando, inoltre, è stata fortemente danneggiata dai raid dei giorni scorsi. Questi sono indubbi fattori di debolezza che l’Iran non può nascondere, unitamente al fatto che negli ultimi mesi Teheran ha giocato tutte le sue carte sulla prospettiva che i negoziati con gli Usa avrebbero avuto uno sbocco. Così non è stato. Tuttavia, dare per definitivamente tramontato o prossimo al collasso il Paese sarebbe prematuro. L’Iran mantiene ancora degli spazi operativi non indifferenti: da un lato, la capacità di poter continuare a colpire Israele con le salve missilistiche, dall’altro la sostanziale tenuta politica della leadership consente di poter programmare come riuscire a incassare i colpi.

“Israele non ha la capacità di sconfiggere militarmente l’Iran, anche se potesse devastare il paese come ha fatto con Gaza, il Libano, la Siria e lo Yemen, e gli Stati Uniti non hanno la determinazione e la volontà di attuare un cambio di regime attraverso l’invasione e l’occupazione”, ha scritto su X l’iranista Farzan Sabet. La sua lettura sembra valida: ad oggi, la maggior possibilità che ha l’Iran è quella di sfruttare il fattore tempo per “chiamare” la tenuta della coalizione israelo-americana sugli obiettivi reali dell’attacco.

Teheran deve sperare che la nottata passi senza ulteriori attacchi americani: su questo fronte, se la tenuta del governo e delle istituzioni non sarà messa a repentaglio dall’aumento degli attacchi contro le infrastrutture e il Paese mediorientale, l’Iran ha la possibilità di mantenere attiva la sua statualità e, dunque, i suoi obiettivi politici di difesa della propria capacità d’azione. Unica premessa necessaria per dare un futuro all’Iran nella sua ora più buia.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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