(Roma, 16 giugno 2025). L’attacco di Israele all’Iran e la conseguente reazione di Teheran che da venerdì ha infiammato il Medio Oriente, portando all’apice la crisi iniziata il 7 ottobre 2023, ha messo su una posizione difficile la Russia di Vladimir Putin, sfidata dal nuovo sviluppo bellico su più fronti. Innanzitutto, sulla volontà di sostenere o meno la difesa del suo incerto alleato iraniano, con cui nell’ultimo decennio la convergenza politica è stata crescente. In secondo luogo, per i riflessi sistemici che l’attacco di Israele può provocare nell’estero vicino russo. Infine, per gli impatti sui decisivi mercati energetici da cui Mosca trae linfa vitale per la sua economia.
Sul primo fronte, come ha scritto Fulvio Scaglione, la solidarietà russa sembra essersi circostanziata in una formale condanna dei raid contro l’Iran e nell’invito alla moderazione dei contendenti. Mosca non ha mai davvero visto in Teheran il partner che invece l’Iran ha indicato nella Russia. Per dieci anni, Putin e il suo governo non hanno frenato la guerra-ombra di Israele in Siria contro la proiezione dei Pasdaran né sono intervenuti dopo lo scoppio della guerra in Ucraina per puntellare il regime siriano di Bashar al-Assad, travolto a dicembre 2024 assieme al pre-carré iraniano nel Levante.
In secondo luogo, Putin guarda con attenzione alla crisi israelo-iraniana perché confligge con il suo obiettivo di fondo di un riassetto dell’ordine internazionale in un senso più favorevole alla Russia. Essenzialmente, Mosca vede nell’attacco di Tel Aviv una riproposizione del disegno strategico a guida americana, avallato da Israele, per ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente.
I piani del Cremlino alla prova della guerra
Non si tratta più del progetto unipolare di ribaltamento dei regimi anti-occidentali e anti-israeliani nel Medio Oriente in sommovimento, di cui l’Iran degli ayatollah è l’ultimo baluardo, ma di costruire un’architettura strategica che renda il Medio Oriente indebolito e ingovernabile per potenze esterne. Dunque depotenziando la possibilità per attori come la stessa Russia (o la Cina) di esercitare un’influenza. Detto sinteticamente, la sicurezza di Israele e quella della Russia, in relazione all’Iran, sono un gioco a somma zero. Inoltre, Mosca teme che una crisi dell’Iran sotto attacco possa avere conseguenze nel Caucaso, soprattutto per i rapporti tesi con l’Azerbaijan e le possibili mire geopolitiche di Baku sul confine abitato dalla minoranza azera nel Paese persiano.
In sostanza, per Putin la guerra rompe le uova nel paniere del grande disegno di riassesto dell’ordine internazionale che Mosca spera di blindare con l’accettazione occidentale dei progressi militari in Ucraina e con un negoziato diretto con gli Usa di Trump. E nella destabilizzazione temuta c’è anche quella, potenziale, dei mercati energetici. E qui veniamo all’ultimo punto: su petrolio e gas naturale Mosca sta cercando di governare la volatilità dei prezzi e di conquistare quote di mercato con una strategia di aumento dell’offerta.
Repentini rialzi e sconvolgimenti del prezzo energetico legati alla guerra possono creare incertezza e instabilità, anche se sul breve periodo le casse di Mosca potrebbero trarne giovamento. La proposta di mediazione nasce dalla volontà di vedere un mondo prevedibile, che la Russia vuole plasmare passo dopo passo. Ma la strada sembra in salita. Anche perché il clima di massima sfiducia col resto della comunità internazionale dopo i fatti dell’Ucraina rende potenzialmente solitario lo sforzo di Mosca.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)