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Reset dopo la Brexit ? Londra e Bruxelles firmano ma i fantasmi restano

(Roma, 24 maggio 2025). A Lancaster House, tra tappeti rossi e dichiarazioni solenni, l’Unione Europea e il Regno Unito hanno firmato il 19 maggio 2025 quello che Politico ha definito un accordo “storico”: difesa, energia, pesca e mobilità, tutti sotto un’unica cornice di normalizzazione. Ma dietro i sorrisi di Keir Starmer e Ursula von der Leyen, si cela un’altra storia. Quella di un Regno Unito che torna in Europa non da protagonista, ma da comprimario. E di un’Unione che, in un’epoca di instabilità globale, ha imparato a usare la Brexit come leva più che come trauma.

Il nodo più visibile è stato quello della pesca: proroga di 12 anni dei diritti per le flotte UE nelle acque britanniche. Un tema simbolico, visceralmente legato alla Brexit, trasformato ora in concessione. Per Starmer, è una mossa pragmatica: in cambio della pace commerciale, qualche rete in più. Ma per Nigel Farage e i conservatori, è una resa. E le accuse di aver “svenduto i pescatori” non hanno tardato ad arrivare.

In realtà, è sul fronte della difesa che il patto mostra la sua vera posta in gioco. Londra cerca da tempo un modo per rientrare nella macchina industriale della sicurezza europea. Partecipare al programma SAFE, un maxi-piano da 150 miliardi per il riarmo europeo, significherebbe garantire un futuro all’industria britannica della Difesa e al tempo stesso riconoscere l’autorità politica – e giuridica – di Bruxelles. In gioco non c’è solo l’accesso a commesse militari, ma la ridefinizione del concetto stesso di “sovranità post-Brexit”.

La preminenza di Bruxelles

E così, tra riferimenti alla guerra in Ucraina e alla “più grande minaccia alla sicurezza del continente da generazioni”, Von der Leyen ha ribadito il concetto: l’unità europea ora si misura anche con Londra dentro. Ma a condizioni precise. Corte di Giustizia Europea come arbitro finale, supervisione sui sistemi di scambio delle emissioni, regole fitosanitarie comuni, passaporti biometrici, e forse un ritorno di Erasmus+. Bruxelles detta, Londra ascolta. Starmer, da parte sua, prova a vendere il tutto come un rilancio del ruolo internazionale del Regno Unito: “Siamo tornati”, ha dichiarato. Ma tra i banchi laburisti già serpeggia il dubbio: quanto resterà del mantra del “global Britain” se si torna a negoziare l’accesso all’e-gate degli aeroporti europei ?

L’impressione è che questo accordo sia solo il primo passo verso un lento riavvicinamento che non osa dire il suo nome. Il Regno Unito vuole i vantaggi dell’integrazione europea – commercio, ricerca, mobilità – senza il costo politico dell’adesione formale. L’UE, dal canto suo, sa di avere il coltello dalla parte del manico. E sfrutta la posizione di forza per rafforzare il proprio sistema normativo, ora esportato oltre-Manica.

La partita non è solo tecnica. È simbolica. È la resa dei conti tra una visione strategica continentale e l’illusione insulare di un’autonomia che, di fatto, non esiste più. Brexit è finita. Ma non la sua eredità.

Di Giuseppe Gagliano. (Inside Over)

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