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Colloqui Russia-USA in Vaticano : ecco perché si tratta di un’opzione strategica

(Roma, 20 maggio 2025). I colloqui di pace tra Russia e Ucraina iniziati in Turchia il 15 maggio scorso proseguiranno in Vaticano? Quella che sembrava inizialmente solo una suggestione, con l’invito di Papa Leone XIV ai nemici belligeranti perché “si guardino negli occhi”, è diventata in pochi giorni una concreta prospettiva politica.

L’udienza offerta da Robert Francis Prevost al presidente ucraino Volodymyr Zelensky prima e ai delegati Usa, il vicepresidente J.D. Vance e il segretario di Stato Marco Rubio, poi, i susseguenti colloqui diplomatici a tutto campo tenuti dai tre a margine dell’insediamento del nuovo pontefice e la spinta degli alleati europei di Usa e Ucraina per un rafforzamento dei negoziati, hanno creato una convergenza ulteriore verso un prosieguo delle trattative.

Ieri, Donald Trump dopo la telefonata con Vladimir Putin ha rilanciato l’ipotesi del Vaticano come luogo in cui svolgere la mediazione. Il Cremlino ha ringraziato Papa Leone XIV per l’impegno e non ha escluso l’opzione dell’Oltretevere, pur riservandosi di scegliere con le controparti (Ucraina e alleati) la sede appropriata per il negoziato, per la cui gestione il Vaticano sembrava il candidato naturale. Questo per una serie di ragioni che hanno a che vedere con la duplice natura del papato, vertice di uno Stato e di un’istituzione religiosa.

Perché il Vaticano può mediare

In primo luogo, la Santa Sede ha mantenuto dall’invasione russa del 2022 un’attenzione alla possibile risoluzione della crisi dell’Ucraina con l’impegno di papa Francesco e del segretario di Stato Pietro Parolin. Lo scomparso pontefice ha sempre promosso un invito al negoziato, ha lavorato per tenere aperte le porte alla diplomazia tra la “martoriata Ucraina” e il nemico russo, ha nominato il cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana Matteo Zuppi come inviato speciale per la mediazione, contribuendo a riportare nel Paese invaso centinaia di bambini sottratti alle famiglie nelle regioni occupate da Mosca e si è sempre mantenuto in grado di dialogare con ogni parte in causa.

Il Vaticano, passato assieme alla Chiesa cattolica dalla guida di Francesco a quella di Leone XIV, ha mantenuto piene relazioni diplomatiche con tutte le parti in causa. Il Vaticano si posiziona, al pari della Turchia, dei Paesi del Golfo e di pochi altri attori (India, Indonesia e, in misura minore, Brasile), nel possedere questa prerogativa negoziale che è stata privilegio di un novero ristretto di Stati.

In secondo luogo, c’è una continuità di gestione del dossier da parte della leadership della Chiesa cattolica. Dall’inizio della guerra in Ucraina molti Stati hanno cambiato governi e vertici: dal 2022 a oggi, solo Emmanuel Macron rimane in campo dei leader che guidavano le nazioni del G7, ma con un quadro politico interno totalmente cambiato.

Leone XIV ha ereditato da Francesco l’apparato diplomatico della Chiesa, cinghia di trasmissione della Santa Sede, che col duo Parolin-Zuppi ha tenuto le redini del dossier dall’avvio del conflitto a oggi. Non a caso, prima della morte di papa Bergoglio Parolin ha dialogato con Vance durante la sua visita romana di aprile e alla vigilia dell’insediamento di Prevost ha avuto un ricco scambio con Rubio assieme a Zuppi. Nel mezzo, lo storico bilaterale tra Trump e Zelensky sotto le volte di San Pietro al funerale di Papa Francesco, che ha dato un impulso al negoziato di pace.

Spinte ecumeniche

C’è poi, ultimo punto, anche un substrato ecumenico nel dialogo russo-ucraino a cui il Vaticano punta. Leone XIV ha iniziato la sua era pontificia puntando fortemente sul rafforzamento del dialogo interreligioso e interconfessionale. Alla Santa Sede non sfugge la tendenza insita nella leadership russa e in quella ucraina a cercare di arruolare la religione al servizio delle logiche geopolitiche e nazionaliste, ben esemplificato dalla postura da “cappellano del Cremlino” del patriarca di Mosca Kirill o dal sostanziale scisma politico dal patriarcato in questione della Chiesa ortodossa ucraina favorito da Zelensky e dal predecessore Petro Poroshenko.

Non deve sfuggire, infatti, il fatto che il 19 maggio, giorno della chiamata Trump-Putin, Leone XIV ha ricevuto in udienza privata il Patriarca Ecumenico ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, per aprire a un approfondimento del confronto tra i “due polmoni” della cristianità tradizionale. Un ulteriore invito a costruire ponti e dialogare insito nella diplomazia pontificia che prosegue sia sul piano politico che quello ecumenico.

A Bartolomeo, Papa Leone XIV ha garantito un suo prossimo viaggio a Nicea per celebrare i 1.700 anni dello storico concilio che, nel 325 dopo Cristo, stabilì le fondamenta della Chiesa che conosciamo oggigiorno. Nicea è simbolo di unità in un mondo frammentato, di valori comuni, di incontro. Dunque dello stimolo a costruire ponti nella Chiesa e nel mondo che Leone ha ereditato da Francesco. En passant, è anche una città della Turchia, il Paese-ponte per eccellenza in questi mondi turbolenti. Messaggi politici e spirituali si sommano, sovrappongono e rinforzano vicendevolmente.

Del resto, se per i pontefici “la politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio”, come diceva Papa Pio XI, è chiaro che per Leone XIV, la Chiesa cattolica e il Vaticano non ci sia differenza tra piani nel gestire la mediazione alla guerra che più di tutte ha turbato l’ordine mondiale nel post-Guerra Fredda. I palazzi dell’Oltretevere sono pronti. Ai grandi della Terra decidere se varcarne le porte in nome di una pace giusta e duratura che è al tempo stesso grande obiettivo e utopia dei negoziati sull’Ucraina.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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