(Roma, Parigi, 19 maggio 2025). La missione delle Nazioni Unite in Libia, nata con l’obiettivo di sostenere una transizione politica stabile e duratura, si è progressivamente trasformata da facilitatore neutrale a soggetto controverso, spesso accusato di parzialità e, ancor più frequentemente, di inazione. I numerosi inviati speciali che si sono succeduti non sono riusciti a imporre una soluzione duratura al conflitto né a garantire il rispetto della sovranità libica, come dimostra le recente escalation di violenza nella capitale libica Tripoli, tra fazioni armate a sostegno del governo di unità nazionale di Abdel Hamid Dabaiba e i suoi oppositori. Dopo diversi giorni di violenza che non hanno risparmiato aree densamente popolate, sabato i gruppi armati hanno aperto il fuoco contro i manifestanti davanti ai palazzi del potere, uccidendo almeno un poliziotto e ferendo diversi civili.
Nonostante una serie incessante di conferenze internazionali, da Ginevra a Berlino, i risultati tangibili della missione sono rimasti scarsi, ridotti a meri proclami sulla carta, privi di veri meccanismi di implementazione e ostaggio di interventi esterni che, lungi dal sanare le divisioni, le hanno anzi esacerbate, polarizzando ulteriormente il paese tra est, ovest e sud. Nel meridione libico il fallimento della missione Onu è divenuto ancora più lampante. L’assenza di sviluppo, la cronica negligenza delle condizioni umanitarie e di sicurezza e la sistematica ignoranza delle richieste della popolazione locale hanno minato profondamente la credibilità dell’organizzazione internazionale. Sul piano politico, la missione non è riuscita a imporre una roadmap chiara e condivisa, preferendo sponsorizzare dialoghi superficiali e inconcludenti, lasciando la Libia ostaggio di interessi internazionali e di gruppi di pressione intenti a depredare le ingenti risorse statali.
Il fallimento della missione Onu non si misura unicamente con la mancata celebrazione di elezioni nazionali, un obiettivo più volte dichiarato ma mai raggiunto. Esso si manifesta anche nella sua incapacità di costruire un consenso nazionale autentico e nella sua persistente tendenza a internazionalizzare la crisi anziché concentrarsi su una sua risoluzione endogena. Questa strategia, lungi dal favorire una soluzione libico-libica, ha finito per esacerbare le ingerenze esterne e per complicare ulteriormente il quadro politico. La prosecuzione di questo approccio, privo di una revisione critica e di una seria assunzione di responsabilità, rappresenta una minaccia diretta al futuro della Libia e mina profondamente la fiducia in qualsiasi soluzione che non scaturisca da una libera e autentica volontà nazionale. È imperativo che la comunità internazionale prenda atto del fallimento dell’attuale modello di intervento e che si adotti un approccio radicalmente diverso, incentrato sul sostegno a processi inclusivi guidati dai libici stessi, nel pieno rispetto della loro sovranità e dei loro interessi nazionali.
Di Vanessa Tomassini. (Notizie Geopolitiche)