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Arabia Saudita, Emirati, Qatar : anche per Trump il Golfo è al centro del mondo

(Roma, Parigi, 13 maggio 2025). Un viaggio per inaugurare la serie delle missioni all’estero del secondo mandato, ma anche per mandare un messaggio potente: Donald Trump parte per la visita in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, la seconda all’estero del suo nuovo mandato dopo il passaggio a Roma per i funerali di Papa Francesco il 26 aprile e la prima a esplicito contenuto politico, e riconosce che l’area del Golfo è centrale per gli equilibri mondiali.

Il clima è molto cambiato rispetto al maggio del 2017, quando Trump arrivò in Arabia Saudita alla corte di Mohammad bin Salman, ambizioso principe ereditario del Paese, per concludere un accordo sulla vendita di armamenti da 100 miliardi di dollari.

La visita nella strategia USA

A Riad per il summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo, a Doha per l’incontro con l’Emiro Tamim bin Hamad Al Thani e ad Abu Dhabi per dialogare col presidente emiratino Mohammed bin Zayed arriverà un Trump che vorrà sondare l’amicizia verso gli Usa e l’affidabilità delle petromonarchie ma, in sostanza, avrà anche bisogno di loro.

I Paesi del Golfo servono a The Donald su molti dossier : innanzitutto, per puntellare una strategia regionale che vede gli Usa intenti in un gioco a geometria variabile fondato sull’attacco militare agli Houthi in Yemen, la parallela trattativa con l’Iran sul nucleare e un sostegno sempre più nervoso a Israele, che su Gaza sta prendendo la forma di un graduale distacco. La soluzione di molte di queste partite e dell’ircocervo mediorientale passa dall’atteggiamento di Bin Salman, bin Zayed e Al Thani e dalla parallela buona volontà dialogante di potenze minori della regione come l’Oman.

Gli affari sono affari

In secondo luogo, Trump parlerà di affari. Dal nucleare all’intelligenza artificiale, dalla Difesa alle infrastrutture, sono molti i campi in cui Washington attende colossali investimenti dai Paesi del Golfo. Come nota il Financial Times, “il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha già promesso che Riad investirà 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti in quattro anni; gli Emirati Arabi Uniti hanno seguito con una promessa di 1,4 trilioni di dollari in 10 anni; e si prevede che il Qatar si impegni a sua volta in investimenti per un valore di centinaia di miliardi di dollari durante la tappa di Doha del viaggio di Trump”. Fondi come il player emiratino Mgx, per fare un esempio, sono già attivi nel progetto di Ia Stargate.

Parimenti, esiste la possibilità di alleanze parallele finalizzate all’investimento delle Big Tech Usa nel Golfo per costruire data center e centri di calcolo in territori ritenuti sicuri. Microsoft è già partita col consorzio G42 negli Emirati che, si scriveva su Sky Insider, “oggi grazie al nucleare si trovano già nella condizione di poter generare più energia di quanta ne consumino. Un fatto che lascia spazio alla possibilità di investire ampiamente in data center, parchi tecnologici, supercomputer senza sovraccaricare la rete”.

Il nuovo cuore del mondo

Infine, la visita nella regione servirà a capire in che misura l’America trumpiana potrà fare i conti con un mondo, quello mediorientale, che resterà giocoforza strategico in maniera diversa rispetto al passato. Se nei decenni scorsi erano le risorse energetiche, la presenza di solidi alleati Usa, da Israele ai sauditi, e le politiche di contenimento di Washington contro nemici veri o amplificati (da Al-Qaeda all’Iraq di Saddam Hussein) a giustificare la grande presenza americana nella regione, oggi l’importanza del Golfo si trasmette alla regione intera per la sua natura di ponte geografico, commerciale geopolitico.

Da Abu Dhabi o Doha si può raggiungere un terzo della popolazione mondiale in quattro ore di volo, e fino a due terzi in sette ore; nella regione sono presenti importanti hub di scambio finanziario e commerciale, oltre alle rotte critiche per il commercio globale che collegano Mar Mediterraneo e Oceano Indiano via Mar Rosso e Mar Arabico; al Golfo guardano partner, alleati e competitor della superpotenza, dall’India che sta costruendo il corridoio commerciale Imec verso l’Europa alla Cina che sta blindando profonde alleanze economiche.

Unitamente alla Turchia, i Paesi del Golfo sono tra i più sagaci pontieri dell’era globalizzata contemporanea. Dare per scontata la loro adesione all’Occidente geopolitico sarebbe un errore, e Trump dovrà sondare anche questo in una visita che non sarà solo di business o cortesia. Ma aprirà uno squarcio sulle future strategie geopolitiche di Washington e dei suoi partner regionali, contribuendo a fare chiarezza in un contesto caotico di alleanze a geometria variabile.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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