(Roma, 03 maggio 2025). Le bombe israeliane che hanno colpito le aree prospicienti il palazzo presidenziale di Damasco nella serata dell’1 maggio erano dirette contro le truppe di Ahmad al-Sharaa, noto anche col nome de guerre di Abu Mohammad al-Jolani, ma non erano solo rivolte al contenimento del regime del neo-presidente siriano.
Il messaggio deciso di Benjamin Netanyahu è per la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, potenza egemone nella nuova Siria post-Bashar al-Assad. Parlano chiaro le modalità dell’intervento, le mosse decise dall’Israel Defense Force, la giustificazione politica scelta. Le modalità sono molto simili a quelle con cui Israele attaccava fuori dal territorio nazionale le sedi delle organizzazioni nemiche in passato: dai vari attacchi contro le sedi dell’Organizzazione per la Liberazione per la Palestina alle mosse contro Hezbollah nei violenti raid del settembre 2024, tutto sembra convergere per un’opzione analoga, capace di dimostrare la potenzialità dell’Idf di arrivare ovunque in casa dei nemici.
Le mosse dell’Idf e la giustificazione politica hanno a che vedere con l’autoproclamata designazione di Israele come protettrice della comunità drusa, che in Siria sta conoscendo nelle ultime settimane periodi difficili per i continui scontri interconfessionali che la vedono sotto attacco degli estremisti sunniti. Tel Aviv ha un rapporto privilegiato coi drusi, intende valorizzarli come leva politica per fermare la vera minaccia percepita sul piano strategico: la saldatura tra le varie anime della Siria a cui punta Al-Sharaa. Una Siria unita sotto il patronage turco è una minaccia strategica che Tel Aviv, che vuol rinsaldare la sua influenza sul Paese limitrofo, intende prevenire, nel timore che Damasco sia usata da Ankara come strumento di pressione in caso di crisi bilaterale. Dunque, emerge idealmente la postura di nume tutelare dei drusi, che abitano il Sud della Siria e possono essere ritenuti l’antemurale a un Paese unito sotto l’egida dell’ex Hayat Tahrir al-Sham.
Israele è intervenuta dopo che, si è scritto su Sky Insider, “all’interno delle comunità druse l’atteggiamento da tenere verso il Governo in relazione agli scontri” con gli uomini di Al-Jolani “era stato molto discusso”. Tel Aviv ha agito in nome di “una comunità che però al suo interno ha una complessità politica e sociale che rende difficile trattarla come un monolite”. E ora rischia di essere percepita come quinta colonna di Tel Aviv da parte dei radicali islamisti. Ma per Israele la postura geopolitica è prioritaria, e per Netanyahu tutto è strumentale se può evitare di far arrivare alle porte di casa (per Tel Aviv nel Golan occupato) il duo Erdogan-Jolani.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)