(Roma, 23 aprile 2025). Per Tel Aviv, accettare la proposta dei terroristi significherebbe esporsi a scenari che richiederebbero un costante impegno militare su più fronti
Mentre continuano i combattimenti nella Striscia di Gaza, i terroristi di Hamas hanno presentato una nuova proposta per ottenere la fine della guerra. Secondo quanto riferito da Sky News Arabic, essa prevederebbe la rinuncia al controllo sul territorio dell’exclave da parte del gruppo palestinese, in cambio della conservazione delle sue armi.
Fonti politiche e diplomatiche hanno descritto questo sviluppo come “flessibilità calcolata” e apre le porte a scenari complessi, dove i calcoli interni all’organizzazione terroristica si scontrano con il fatto che Israele si rifiuta categoricamente di accettare qualunque accordo che non includa il disarmo completo di Hamas. Fin dall’inizio del conflitto, il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito più volte che, tra gli obiettivi delle operazioni militari, vi era quello di impedire al gruppo palestinese di poter ripetere in futuro un’azione come quella del 7 ottobre attraverso la sua totale distruzione e riduzione in condizione di non nuocere allo Stato ebraico.
Accettare una soluzione del genere vorrebbe dire, per Tel Aviv, esporsi ad una serie di scenari che richiederebbero un costante e intensivo impiego dell’esercito su più fronti. Il primo sarebbe sempre la Striscia, dove la situazione sostanzialmente non cambierebbe, se non dal punto di vista politico. Hamas infatti continuerebbe a condurre i suoi attacchi mordi-e-fuggi contro le truppe ebraiche. Un’ipotesi, questa, resa più probabile dalla notizia, diffusa dal canale saudita Al Arabiya, secondo cui i terroristi avrebbero reclutato 30mila giovani addestrati nei campi militari delle brigate al-Qassam alla guerriglia, al lancio di razzi e al piazzamento di esplosivi.
In più, se una porzione dei combattenti dell’organizzazione dovesse decidere di lasciare l’exclave, spostandosi in altri Paesi della regione, essa potrebbe andare a rafforzare gruppi a cui Israele ha inflitto pesanti danni, come Hezbollah o la galassia di fazioni presenti in Cisgiordania. E proprio qui, potrebbero tentare di infiltrarsi e prendere il controllo del governo attualmente guidato dall’Anp, andando a creare fondamentalmente una “Gaza 2”.
Nel medio-lungo periodo, dunque, Israele non avrebbe nulla da guadagnare da un accordo del genere. La situazione rimarrebbe identica a quella precedente al 7 ottobre, con un gruppo armato e ancora numericamente considerevole pronto ad attaccare sia all’interno, sia all’esterno della Striscia, vanificando anche qualsiasi tentativo di costruire un’autorità politica alternativa.
In tutto questo, i negoziati proseguono al Cairo. Secondo una fonte israeliana, l’amministrazione Trump avrebbe fatto pressioni affinché sia l’Egitto a guidare i colloqui al posto del Qatar, poiché ritenuto più efficace nell’esercitare pressione su Hamas affinché accetti un accordo.
La stessa fonte ha affermato che lo Stato ebraico è ottimista sul fatto che la pressione militare a Gaza stia funzionando e che i terroristi vogliano raggiungere un’intesa per porre fine ai combattimenti.
Di Filippo Jacopo Carpani. (Il Giornale)