(Roma, 15 aprile 2025). Damasco, un tempo cuore pulsante di un regime che dominava con il pugno di ferro, oggi è una scacchiera frantumata, dove le pedine si muovono tra rovine e speranze. Con la caduta di Bashar al-Assad nel dicembre 2024, la Siria è precipitata in un vuoto di potere che attira, come un magnete, attori di ogni tipo: milizie locali, potenze straniere, e ora anche società di sicurezza private, pronte a capitalizzare sull’instabilità. Ambasciate, testate giornalistiche, aziende di ricerca – tutti cercano protezione in un Paese dove il confine tra ordine e caos è sottile come una lama. In questo scenario, una notizia scuote il panorama: un’azienda anglo-emiratina, dal nome ancora avvolto nella discrezione, avrebbe ottenuto una licenza per operare in Siria, un passo che potrebbe segnare l’inizio di una nuova era per il settore della sicurezza privata nel Levante.
Non è una novità che la Siria post-Assad sia un terreno fertile per chi vende protezione. Dopo anni di guerra civile, il Paese è un mosaico di fazioni armate, dai ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), che controllano Damasco, alle milizie curde dell’SDF nel Nord-Est, fino ai residui delle forze pro-Assad che ancora si aggirano come fantasmi. In questo caos, le ambasciate riaprono i battenti con cautela, i media internazionali inviano reporter per documentare la transizione, e le aziende di ricerca, spesso legate a interessi geopolitici, sondano il terreno per gas, petrolio o semplicemente informazioni. Ma nessuno si muove senza una scorta armata. Le vecchie istituzioni statali, già fragili sotto Assad, sono crollate o si sono frammentate, lasciando un vuoto che né l’HTS né altre fazioni possono colmare da sole. Ed è qui che entrano in gioco le security companies, con i loro contractors addestrati, i fuoristrada blindati e promesse di sicurezza a caro prezzo.
Capitale arabo e know how britannico
L’azienda anglo-emiratina, secondo indiscrezioni, avrebbe ricevuto il via libera da una delle autorità transitorie che cercano di governare la Siria – forse l’HTS stessa, che, pur bandita come organizzazione terroristica da ONU e Occidente, si sta accreditando come forza di governo. Ottenere una licenza in un contesto del genere non è un’impresa da poco. Richiede contatti di alto livello, garanzie finanziarie e, soprattutto, la capacità di navigare in un dedalo di alleanze e rivalità. Gli Emirati Arabi Uniti, che da anni tessono rapporti con Damasco (già nel 2018 riaprirono la loro ambasciata), hanno il peso diplomatico e il denaro per aprire porte. Il partner britannico, invece, porta competenze tecniche e una rete di ex militari, spesso veterani delle guerre in Iraq e Afghanistan, pronti a mettere la loro esperienza al servizio di un nuovo teatro operativo. Insieme, formano una combinazione letale: capitale arabo e know-how occidentale.
Ma cosa significa davvero questa mossa? Per le ambasciate, una società straniera offre una garanzia di neutralità che le milizie locali, spesso legate a fazioni politiche o etniche, non possono assicurare. Per i media, è una polizza assicurativa per operare in zone dove un checkpoint può trasformarsi in una trappola mortale. Per le aziende di ricerca, soprattutto quelle interessate alle risorse naturali, è un modo per esplorare un Paese ricco di opportunità ma disseminato di rischi. Eppure, l’arrivo di un attore anglo-emiratino solleva interrogativi. Chi supervisiona davvero le loro operazioni? E quali sono i loro veri obiettivi? Non è un segreto che gli Emirati, come altre potenze del Golfo, abbiano interessi strategici in Siria: contenere l’influenza iraniana, contrastare la Turchia, assicurarsi un ruolo nella ricostruzione. Una società di sicurezza potrebbe essere solo la punta dell’iceberg, un avamposto per progetti più ambiziosi.
Non mancano le ombre. Le società di sicurezza private, ovunque operino, portano con sé un bagaglio di controversie. In Iraq e Afghanistan, contractor occidentali sono stati accusati di abusi, corruzione e violazioni dei diritti umani. In Siria, dove la fiducia tra comunità è già un bene raro, la presenza di mercenari stranieri rischia di alimentare sospetti e tensioni. Inoltre, l’HTS, che sembra benedire questa iniziativa, non è un partner affidabile agli occhi dell’Occidente. Collaborare con un gruppo proscritto come terroristico potrebbe complicare i rapporti con Stati Uniti ed Europa, che, pur sollevando alcune sanzioni nel 2025 per favorire la ripresa economica, restano guardinghi. E poi c’è la questione della trasparenza: chi finanzia davvero questa azienda? È solo un’impresa commerciale, o un’estensione degli interessi di Abu Dhabi e Londra ?
Per ora, l’azienda anglo-emiratina si muove con discrezione, limitandosi a confermare la licenza e promettendo “servizi di alto livello” per clienti internazionali. Ma in un Paese come la Siria, dove ogni contratto nasconde un’agenda e ogni arma racconta una storia, nulla è come sembra. Le strade di Damasco, ancora segnate dalle cicatrici della guerra, si preparano a ospitare un nuovo tipo di esercito: non più ideologico, ma mercenario. E mentre il mondo osserva, la domanda resta sospesa: chi proteggerà davvero la Siria da se stessa.
Di Giuseppe Gagliano. (Inside Over)