(Roma, 10 aprile 2025). Sabato in Oman inizieranno i negoziati tra Stati Uniti e Iran sul nucleare iraniano, annunciati da Trump nel corso della conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca con Netanyahu. Un passo importante per la pace globale, i cui esiti restano però incerti.
Far fallire i negoziati
Dopo la sorpresa iniziale, i fautori della guerra all’Iran hanno avviato un fuoco di sbarramento destinato ad aumentare. A iniziare dalle dichiarazioni di Netanyahu sull’applicazione a Teheran del modello libico, evocato durante la conferenza stampa e ribadito prima della sua ripartenza dagli Usa.
“Siamo d’accordo sul fatto che l’Iran non avrà armi nucleari”, ha dichiarato Netanyahu subito dopo l’incontro con Trump. “Ciò può essere fatto tramite un accordo, ma solo se questo accordo è sul modello libico, dove si arriva, si fanno saltare in aria le strutture, si smantellano tutte le attrezzature ad opera degli americani e sotto la loro supervisione” (Cbn news, il neretto è nostro). Una richiesta che serve solo a sollecitare il niet di Teheran e iniziare i bombardamenti.
Più sottile la mossa riferita dal Washington Post che dà conto della confidenza di un funzionario americano: “Se i colloqui non saranno diretti, Witkoff potrebbe non recarsi in Oman”. Confidenza che fa emergere uno scontro che si sta evidentemente consumando all’interno dell’amministrazione Trump, con i falchi che tentano di far saltare l’appuntamento facendo leva su una discrasia emersa in questi giorni.
Trump, infatti, ha parlato di colloqui diretti con gli iraniani, mentre questi ultimi hanno ribadito più volte che saranno indiretti, con i funzionari dell’Oman a far la spola tra la delegazione di Teheran e quella Usa guidata da Steve Witkoff. Questione di lana caprina, ma si tratta di sciocchezze dal potenziale esplosivo, capaci cioè di determinare se sarà guerra o pace.
Non solo, ieri è arrivata la richiesta di arresto per l’ayatollah Khamenei da parte della magistratura argentina, che è giunta alla conclusione che l’attentato all’Amia (l’Asociación Mutual Israelita Argentina) del 1994, che causò 85 morti e circa 300 feriti, sarebbe stata ordinata direttamente dalla guida spirituale degli sciiti.
Non sfugge che il presidente argentino si è consegnato anima e corpo alla destra israeliana ed è alquanto evidente il motivo dell’iniziativa: bollare col marchio di infamia gli interlocutori degli States per rendere impossibili i negoziati.
Dal canto suo, Trump continua a minacciare bombe come se fossero confetti. D’altronde, l’America da molto tempo si è incamminata su questa funesta strada, con un incremento parossistico negli ultimi decenni nei quali tali confetti erano destinati a portare libertà e democrazia ai popoli aggiogati dai tiranni. Il modello libico evocato da Netanyahu ne è triste promemoria.
Di ieri, quindi, le dichiarazioni durissime di Trump sull’Iran: se servirà usare l’esercito, “lo faremo”. Detto questo, è chiaro che il presidente americano è in forte imbarazzo, incalzato dai falchi che criticano le sue aperture all’Iran e la sua ritrosia a dare subito luce verde ai bombardamenti. Così le bordate di Trump, oltre che a dimostrare la sua fedeltà alla linea funesta della massima pressione, servono anche a placare il malcontento di tali ambiti.
La nomina di Colby e l’incontro di Istanbul
Malcontento che proprio ieri sarà giunto al parossismo, perché all’annuncio dell’inizio dei negoziati formali con Teheran si è aggiunta una notizia che sarà suonata ferale alle orecchie dei falchi anti-iraniani: Elbridge Colby è ufficialmente Sottosegretario alla Difesa per la Politica, terza carica del Pentagono ma di rilevanza primaria, dal momento che sarà lui a orientare le direttrici della strategia militare americana.
Sulle difficoltà che ha incontrato la sua nomina ne abbiamo accennato in altre note, spiegando che ha dovuto sottostare a un fuoco di sbarramento intenso – di fatto la nomina di Trump più contestata – perché in passato aveva dichiarato che si poteva addirittura convivere con un Iran dotato di armi nucleari.
Per superare le difficoltà, Colby ha dovuto cospargersi il capo di cenere e accettare il dogma che stabilisce che Teheran non abbia un’arma nucleare, ma è rimasto comunque fedele alla sua linea moderata nei confronti di Teheran.
Ieri il placet definitivo alla sua nomina: il Senato lo ha confermato con 54 voti contro 45. Ed è probabile che la sparata di Trump serviva proprio a coprire l’ennesimo sgarbo fatto ai falchi anti-iraniani, che hanno dovuto incassare l’affronto. Da notare che Colby entra in carica tre giorni prima dell’inizio formale dei negoziati con Teheran, tempistica che indica una prospettiva.
La partita non è affatto chiusa, anzi si è appena aperta e l’esito resta incerto. I falchi stanno facendo di tutto per spianare la via alle bombe. E la via scelta, oltre a quelle indirette (vedi mandato di arresto per Khamenei), è quella di inserire nei negoziati richieste estreme, come quella di azzerare lo sviluppo del nucleare iraniano, anche quello civile, di disarmare le milizie sciite in Libano, Iraq e Yemen e di smantellare l’arsenale missilistico e di droni, orgoglio della Difesa iraniana.
Per questo, il ministro degli Esteri iraniano ha chiarito subito che i negoziati avranno come unico focus il nucleare e non altro. Detto questo, è ovvio che all’inizio gli Usa chiederanno il più possibile, come accadde ai tempi delle trattative svolte sotto la presidenza Obama. Allora si giunse a un compromesso, ora è tutto da vedere.
Detto questo, va registrato che oggi si incontrano a Istanbul russi e americani, incontro preceduto da uno scambio di prigionieri, scambi che cadenzavano i momenti di distensione anche nel corso della Guerra Fredda. I russi hanno comunicato che il contenuto dei colloqui resterà riservato.
Il fatto che il summit si svolga alla vigilia dei negoziati Usa-Iran e due giorni dopo la ratifica da parte della Duma (il parlamento russo) dell’accordo sul partenariato strategico tra Mosca e Teheran segnala che uno degli argomenti di discussione sarà proprio la criticità iraniana.
Di Davide Malacaria. (Inside Over)