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Dietrofront di Trump sui dazi…ma non per la Cina

(Roma, 09 aprile 2025). Donald Trump fa dietrofront: stop ai dazi imposti nel “Liberation Day” il 2 aprile scorso, salvo quelli base al 10% che resteranno la piattaforma di partenza per tutte le economie con cui Washington commercia, in cambio del via libera alle trattative dopo che 75 Paesi avrebbero richiesto agli Usa di aprire dei negoziati.

Dazi sospesi, ma su per la Cina

Stop per tutti ? No, per la Cina i dazi salgono al 125%, spiega il presidente Usa in un messaggio inviato sul suo social media Truth, in cui annunciava la svolta per 90 giorni, poco dopo che sia la Cina che, in misura minore, l’Unione Europea avevano annunciato ritorsioni alle tariffe.

Trump ha incaricato Howard Lutnick, titolare del Dipartimento del Commercio, e il Segretario al Tesoro Scott Bessent di condurre negoziati con i 75 Paesi che hanno scelto di “non rispondere ai dazi reciproci”. Si spiega per questo motivo la scelta dell’Ue di rispondere su acciaio e alluminio, i precedenti dazi, ma non su quelli promossi il 2 aprile.

La mossa della Casa Bianca attesta che temporaneamente Washington è incerta sul proseguire o meno il piano di Stephen Miran, nominato da Trump presidente del Consiglio dei Consulenti Economici che assieme a  Robert Lighthizer, presidente del Center for American Trade presso l’America First Policy Institute (Afpi), è l’architetto della guerra commerciale di Trump. Come ha scritto Roberto Vivaldelli su InsideOver, Miran ha teorizzato la guerra dei dazi come strumento volto non tanto, come pensano Lighthizer e il consigliere di Trump Peter Navarro, a spingere su una reindustrializzazione dell’America quanto piuttosto alla leva delle tariffe per abbattere i costi di finanziamento del debito federale, che sta arrivando fuori controllo.

Il piano Miran sui dazi

Come ben spiega Vivaldelli, “la strategia di Miran raccontata nel suo saggio è piuttosto chiara: Miran sostiene che il dollaro sia sopravvalutato (stimando un eccesso del 25%), il che danneggia l’export e il settore manifatturiero statunitense“. Per correggere tale squilibrio, nel policy paper A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System Miran, scrive Vivaldelli, “propone l’uso aggressivo dei dazi per importare inflazione, svalutare il dollaro e migliorare la competitività delle esportazioni americane”.

Il piano di Miran presupponeva l’imposizione di tariffe commerciali prive di ritorsioni dei partner degli Usa, una spinta alla svalutazione del dollaro in un contesto di inflazione stazionaria e, cosa più importante, un crollo dei tassi d’interesse sul debito federale degli Usa, dato pronto ad esplodere verso i 50mila miliardi di dollari da qui a un decennio.

Il primo obiettivo è stato conseguito solo in parte, dato che da un lato si è avuto lo stimolo a trattare di India, Giappone, Vietnam, Argentina, Israele, Corea del Sud e altri partner degli Usa e dall’altro la durissima reazione cinese. Il secondo è ad oggi avvolto nell’incertezza, dato che da Goldman Sachs a Jp Morgan molti colossi finanziari avvertono sui rischi legati a inflazione e recessione. L’ultimo è saltato oggi: dopo giorni di calo dei rendimenti, il Treasury decennale si è impennato nella giornata odierna.

Il debito non scende, Trump accorcia le linee

Il T-Bond di dieci anni, che era sceso sotto il 4% di rendimento dopo il varo dei dazi sta tornando ad apprezzarsi e oggi, prima di scendere, ha superato il 4,5% di cedola. O qualcuno ha chiamato il bluff non puntando sul debito Usa, oppure una vendita di quote di titoli americani sta creando una sofferenza (ma un’ipotesi non esclude l’altra). Questo mina alla radice la grande strategia dei dazi che, ricordiamolo, mira innanzitutto a operare su un debito che sta diventando ingestibile.

La soluzione ? Trump la individua nel trattare con chi è aperto a negoziare e provare a conservare ciò che resta del piano-dazi, spingendo al decoupling aggressivo con la Cina. Ma cambi di strategia tanto bruschi nel giro di una settimana rischiano solo di creare incertezza. Trump è passato dalla strategia all’azzardo in pochi giorni. Alla prima crepa nel piano, data dalla risposta cinese, ha perso la bussola. Ora prova a accorciare le linee. Ma il rischio di apparire come il giocatore di poker a cui è stato chiamato il bluff è alto. E l’incertezza dell’economia globale potrà solo essere alimentata da queste mosse contraddittorie.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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