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Cosa significa il viaggio del capo di CentCom in Medio Oriente

(Roma, 09 aprile 2025). Il comandante del CentCom, Michael Kurilla, ha visitato sei Paesi mediorientali per rafforzare la cooperazione militare e sondare le priorità dei partner regionali. Il viaggio avviene mentre si riaccendono i colloqui Usa-Iran e crescono le tensioni attorno a Israele e nel Mar Rosso. Washington punta a rafforzare interoperabilità e deterrenza in un contesto di crisi diffusa

Ha ragione il ministro della Difesa Guido Crosetto a dire che il dossier che più lo preoccupa in questo momento è quello mediorientale, che effettivamente torna a occupare il centro del tavolo strategico globale — con la guerra a Gaza che infuria, gli Houthi che lanciano missili balistici su Israele e Iran e Usa che siedono faccia a faccia (forse!) per la prima volta dal 2015. È questa tensione che ha portato il comandante del CentCom, generale Michael Erik Kurilla, a compiere un tour intenso e calibrato tra Israele, Giordania, Qatar, Emirati, Arabia Saudita e Yemen. Un itinerario che, al di là delle ritualità militari, rivela la volontà americana di leggere sul campo gli orientamenti, le priorità e le preoccupazioni dei partner regionali. In una fase in cui la pressione strategica si condensa attorno a diversi assi di crisi, la diplomazia delle divise si conferma uno strumento primario di ascolto e deterrenza.

Il viaggio di Kurilla si è svolto tra l’1 e il 5 aprile, ed è stato strutturato in modo da toccare non solo le capitali alleate ma anche i fronti più sensibili. In Israele, il generale americano ha incontrato il capo di Stato maggiore Eyal Zamir e altri responsabili della sicurezza nazionale: colloqui che, oltre a rinsaldare il legame militare bilaterale, hanno permesso al comandante CentCom di confrontarsi direttamente con le letture israeliane su uno scenario in continua fibrillazione. Un momento in cui Tel Aviv si percepisce accerchiata e in cui l’equilibrio tra autodifesa e contenimento rischia di cedere alla logica della spirale.

In Giordania e Qatar, il focus si è spostato su interoperabilità e stabilità. Amman rappresenta da sempre un baricentro per gli interessi statunitensi, e il rafforzamento dei legami con le forze armate giordane è cruciale per mantenere uno scudo logistico e simbolico nel cuore del Levante. In Qatar, partner storico e hub strategico per il comando aereo americano, Kurilla ha consolidato i canali di dialogo militare in un momento in cui Doha gioca anche un ruolo silenzioso ma attivo nei negoziati indiretti tra Stati Uniti e Iran.

La tappa negli Emirati Arabi Uniti – uno dei due soli Paesi formalmente riconosciuti da Washington come “Major Defense Partner” – ha avuto un tenore più strategico, centrato sull’adattamento del dispositivo regionale alle nuove minacce ibride. Con Sheikh Tahnoun bin Zayed Al Nahyan, uomo chiave dell’architettura di sicurezza emiratina, Kurilla ha discusso del bilanciamento tra autonomia regionale e sinergia con la postura americana, in un Golfo attraversato da spinte centrifughe e ambizioni policentriche.

Il segmento finale del viaggio, tra Arabia Saudita e Yemen, è forse il più esplicito nel mostrare la nuova attenzione del Pentagono sul dossier Houthi. Con i sauditi – interlocutori oggi nuovamente centrali per Washington – Kurilla ha affrontato il tema della prontezza congiunta e della difesa cooperativa. Con i vertici militari yemeniti, giunti appositamente per l’incontro, la conversazione si è concentrata sull’operazione in corso per ripristinare la libertà di navigazione nel Mar Rosso, elemento chiave della sicurezza marittima globale e simbolo della resistenza americana all’espansione iraniana per procura.

Il valore politico di questi incontri non sta solo nella sostanza operativa, ma anche nella loro tempistica. Proprio mentre si riaccendono i canali indiretti tra Washington e Teheran – segnale di un possibile nuovo ciclo negoziale sul nucleare – e mentre si moltiplicano le tensioni attorno a Israele, con l’arco della crisi che va dal Libano alla Siria, dal Mar Rosso all’Iraq, la presenza personale di Kurilla nei centri nevralgici dell’area manda un messaggio chiaro: gli Stati Uniti restano fisicamente presenti, disponibili all’ascolto, ma anche pronti a coordinare le difese in un’ottica di deterrenza collettiva.

“Interoperabilità” è la parola chiave che ricorre nei comunicati e nei resoconti ufficiali, ma il vero obiettivo sembra essere quello di ricostruire un margine di agibilità strategica per gli Stati Uniti in una regione sempre più affollata di attori autonomi, dalla Russia alla Cina, passando per l’Iran e le milizie che ne seguono l’agenda.

Il viaggio di Kurilla, in questo senso, non è solo una routine diplomatica, ma un termometro della profondità delle alleanze, della tenuta delle intese, della possibilità di costruire una risposta collettiva a una nuova stagione di instabilità che appare ormai sistemica.

Di Emanuele Rossi. (Formiche)

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