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Trump minaccia l’Iran : ecco cosa può accadere in caso di attacco ai siti nucleari

(Roma, 01 aprile 2025). L’ayatollah Ali Khamenei ha risposto alle dichiarazioni affermando che in caso di attacco «i nemici subiranno un duro colpo»

Le minacce del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di bombardare l’Iran se non verrà raggiunto un accordo sul nucleare hanno riacceso le tensioni tra Washington e Teheran, dopo un tentativo di riavviare i negoziati sul tema. La guida suprema dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei, ha risposto alle dichiarazioni del leader repubblicano affermando che in caso di attacco “i nemici subiranno un duro colpo”. Inoltre, il ministero degli Esteri iraniano ha convocato l’incaricato d’affari della Svizzera a Teheran, che rappresenta gli interessi diplomatici degli Stati Uniti in Iran dall’instaurazione della Repubblica islamica nel 1979, mettendo in guardia contro qualsiasi azione ostile e ribadendo la “determinazione di Teheran a rispondere rapidamente e con decisione a qualsiasi minaccia”.

Secondo quanto riporta il quotidiano “Tehran Times”, l’Iran ha predisposto un numero significativo di missili pronti al lancio dalle basi sotterranee di tutto il Paese per rispondere a eventuali attacchi e colpire gli Stati Uniti nella regione. Da parte sua, nell’ambito degli attacchi contro il gruppo yemenita filo-iraniano Houthi (o Ansar Allah), le forze armate Usa hanno dispiegato almeno quattro bombardieri strategici stealth B-2 a lungo raggio nella base situata sull’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, a una distanza che consentirebbe di attaccare anche l’Iran.

Se Teheran non si siederà al tavolo dei negoziati con gli Usa per discutere di un accordo sul nucleare, “ci saranno bombardamenti (…) come non ne hanno mai visti prima”, ha detto Trump all’emittente “Nbc”, aggiungendo che funzionari statunitensi e iraniani stanno attualmente “parlando” della questione. Il 7 marzo scorso Trump ha detto di aver inviato una lettera a Khamenei tramite il consigliere presidenziale degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, con un’offerta per avviare i negoziati su un accordo nucleare. Nei giorni scorsi l’Iran ha trasmesso la sua risposta alla lettera del presidente degli Stati Uniti attraverso l’Oman. Ieri, il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, si è rifiutato di avere colloqui diretti con gli Stati Uniti, esprimendo la disponibilità a negoziare solo attraverso la mediazione di Paesi terzi, ma ha affermato che “la strada dei negoziati indiretti è aperta”. “Sono le ripetute violazioni degli impegni che hanno creato problemi in questo percorso, queste devono essere affrontate e la fiducia deve essere ricostruita. È il comportamento degli statunitensi che determinerà se i negoziati potranno andare avanti”, ha detto Pezeshkian.

Gli impianti nucleari

Nel 2015 l’Iran e gli Stati Uniti avevano raggiunto un accordo sul nucleare (Joint Comprehensive Plan of Action, Jcpoa), da cui Trump si era ritirato unilateralmente nel 2018, riattivando pesanti sanzioni contro la Repubblica islamica. Teheran ha sempre dichiarato che lo sviluppo del suo programma nucleare è legato esclusivamente a utilizzi pacifici, ma i livelli di arricchimento sollevano preoccupazioni. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) sostiene che l’Iran sia arrivato a un livello di arricchimento dell’uranio pari al 60 per cento, vicino alla soglia per raggiungere scopi militari, e che voglia arrivare al 90 per cento necessario per costruire la bomba atomica. Secondo fonti occidentali citate dalla piattaforma online “GeoInsider”, l’Iran avrebbe già tutte le componenti necessarie per sviluppare rapidamente un’arma nucleare. Inoltre, come dichiarato più volte dall’Aiea, la segretezza di alcune attività, come quella dell’impianto sotterraneo per l’arricchimento dell’uranio di Fordow, nel nord-ovest del Paese, aumenta le preoccupazioni sui potenziali scopi militari. Da parte sua l’Iran ha limitato l’accesso alle ispezioni dell’agenzia dopo il fallimento del Jcpoa.

Fordow è considerato un impianto chiave del programma nucleare iraniano, poiché produce uranio arricchito ad alto livello. Tuttavia, si tratta di un bersaglio estremamente difficile da colpire in quanto la struttura è stata scavata all’interno di una montagna. Altri obiettivi che potrebbero essere colpiti dagli Stati Uniti, o da Israele, sono: Natanz, il più grande sito di arricchimento, parzialmente sotterraneo e vicino alle montagne di Qom; Isfahan, che ospita un imponente centro per la tecnologia nucleare e un impianto per la conversione dell’uranio; Arak, nel nord del Paese, che ospita un reattore ad acqua pesante ed è una potenziale fonte di plutonio; Bushehr, dove c’è la prima centrale nucleare nella storia della Repubblica islamica e si tratta di un impianto civile.

Colpire ognuno di questi obiettivi porterebbe a un risultato diverso, secondo “GeoInsider”. Attaccare Natanz o Fordow rallenterebbe l’attività nucleare iraniana ma non la fermerebbe, mentre colpire Isfahan provocherebbe l’arresto dell’arricchimento dell’uranio. Se venissero colpiti Arak e Buscher ci sarebbero rispettivamente rischio di radiazioni e di fusione nucleare. Secondo la piattaforma, lo scenario più probabile se i siti nucleari dell’Iran venissero colpiti porterebbe a ritardare il programma nucleare della Repubblica islamica, ma non a distruggerlo. Inoltre, i siti sotterranei segreti potrebbero essere riscostruiti e Teheran potrebbe rispondere con attacchi missilistici alle basi statunitensi e israeliane. È bene sottolineare infine che i prezzi del petrolio aumenterebbero a causa delle tensioni.

(Nova News)

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