(Roma, 31 marzo 2025). Mentre per le strade delle principali città turche imperversano le proteste dovute all’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu del Partito Popolare repubblicano (Chp), con accuse apparentemente strumentali che vanno dai reati di corruzione al sostegno al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), ritenuto organizzazione terroristica da Ankara, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan è volato a Washington per un incontro con il segretario di Stato Usa Marco Rubio.
La distensione dei rapporti Usa-Turchia e il nodo degli F-35
Al centro dell’incontro programmato fra gli esponenti dei due Governi c’è stata una conversazione mirata a risolvere gli ostacoli alla cooperazione industriale del settore della difesa, dopo che nei giorni precedenti una telefonata fra Trump e Erdogan, definita come “trasformativa”, aveva lasciato trapelare una distensione dei rapporti fra Ankara e Washington, divenuti complessi durante l’era Biden a causa delle politiche dei Dem americani, che cercavano di isolare la Turchia dal mercato industriale degli armamenti per l’ambiguità strategica che Ankara coltiva con Mosca, pur rimanendo saldamente uno dei principali e più potenti membri dell’Alleanza atlantica.
Le intenzioni di Ankara sono piuttosto chiare: approfittare della distensione Usa-Russia e del periodo storico favorevole per ricucire i rapporti con Washington perseguendo un obiettivo, quello di rientrare nel programma jet F-35 da cui era stata esclusa pur essendone produttore e acquirente. Dal 2020, ancora sotto l’era Trump, la Turchia è sottoposta alle sanzioni Usa dovute al Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA), una legge che prevede l’utilizzo di strumenti come le sanzioni per punire i nemici degli Stati Uniti d’America. La Turchia era stata colpita da questo provvedimento dopo che nel 2019 aveva acquistato da Mosca dei sistemi missilistici di difesa aerea russi S-400, resi poi non operativi per non peggiorare ulteriormente i rapporti con Washington.
È quindi chiaro che, con l’entrata in carica di Trump e il capovolgimento di politica estera promosso dal neopresidente, Erdogan tenta di massimizzare questi nuovi equilibri per i propri interessi industriali e di difesa. Secondo una fonte citata da Reuters, nell’ambito dell’incontro Fidan-Rubio entrambe le parti “hanno chiaramente espresso la loro volontà politica di rimuovere gli ostacoli alla cooperazione nel campo dell’industria della difesa”, aggiungendo che prossimamente si terranno “colloqui tecnici per risolvere i problemi esistenti”. Fonti turche hanno fatto inoltre trapelare un dettaglio significativo dell’accordo, secondo cui Ankara punterebbe a raggiungere un’intesa mantenendo sempre gli S-400 non operativi ma non rinunciando definitivamente a quel programma di armamenti acquistato dalla Russia. L’eventuale rimozione delle sanzioni alla Russia ricadrebbe quindi anche su Paesi terzi coinvolti dalle conseguenze di tali ostacoli politico-diplomatici.
Il ruolo strategico della Turchia
Negli ultimi mesi la Turchia sta assumendo un ruolo caratterizzato sempre più da una maggiore rilevanza sul versante industriale e politico. Oltre alla possibile distensione con gli Usa, occorre non dimenticare l’accordo Leonardo-Baykar per la produzione di droni militari di ultima generazione, un joint venture italo-turca tramite la quale ad Ankara sarà concesso di penetrare significativamente nell’enorme mercato europeo dei velivoli senza pilota che vanta una prospettiva di crescita fino a 100 miliardi di euro nei prossimi dieci anni.
Il ruolo di stato trascinatore di cui la Turchia si è autoinvestita nello scenario siriano post-Assad, senza la contrarietà di Usa e Stati europei, rende inoltre Ankara un attore ancora più cruciale nello scacchiere mediorientale, sia nel determinare il futuro della Siria a cui Erdogan è fortemente interessato per i propri tornaconti regionali e sia nel contrastare l’asse iraniano sempre più indebolita dalle operazioni militari israeliane e dalla caduta di Assad.
Poco importa quindi se la Turchia è alle prese con una delle ondate di proteste antigovernative popolari più intense degli ultimi dieci anni che ha condotto fino ad ora a quasi 1900 arresti fra cui nove giornalisti dopo la conferma dell’arresto del sindaco di Istanbul Imamoglu, una mossa che rischia di far regredire ulteriormente i già deboli parametri di democrazia e stato di diritto turchi e di rinforzare ancor di più Erdogan nella sua posizione di potere occupata dal 2003, gli interessi industriali statunitensi ed europei sono oggi prioritari, la democrazia può sempre attendere.
Di Thomas Brambilla. (Inside Over)