(Roma, 18 febbraio 2025). Mentre a Riad le delegazioni di USA e Russia si incontravano per il primo incontro bilaterale dopo la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin del 12 febbraio scorso e l’Europa decideva di non decidere e non portava avanti nessuna iniziativa di soft power, hard power o diplomazia per giocare un ruolo nella fine del conflitto ucraino, il presidente Volodymyr Zelensky decideva di non poter aspettare Bruxelles.
Anche il capo di Stato ucraino ha preso la via del Medio Oriente. Abu Dhabi prima, Ankara poi e infine Riad. Zelensky ha posticipato, ma non annullato, il viaggio nella capitale saudita previsto per domani sulle orme di Marco Rubio e Sergej Lavrov. Si svolgerà, ma il 10 marzo. Quanto basta per acquisire elementi politici alla luce del summit di oggi, ritenuto da Kiev insoddisfacente dal suo punto di vista.
La consapevolezza è chiara: se capacità di mediazione significa saper portare istanze concrete a una trattativa politico-diplomatica, nella consapevolezza di poter coniugare obiettivi e concretezza, ad oggi sono ben pochi gli attori che possono fungere da cinghia di trasmissione tra il duo Usa-Russia e l’Ucraina.
Perché Turchia e Arabia Saudita sono importanti
Una certezza appare lampante: Washington e Mosca possono accordarsi sul contesto generale dei loro rapporti, in cui si tratta di ridefinire una serie di relazioni securitarie bilaterali deterioratesi nell’ultimo decennio e in cui rientra anche la questione ucraina. Ma non possono, da sole, imporre una “soluzione duratura e accettabile” come richiesto da Lavrov e Rubio all’Ucraina. Kiev vuole rientrare dalla finestra nei negoziati facendo pesare la necessità di applicare sul campo i dettagli politici (e geopolitici) di eventuali accordi. In quest’ottica, sono in particolare Ankara e Riad i partner che possono giocare un ruolo per inserire la risoluzione della questione dell’Est Europa in un quadro globale dove la distensione Washington-Mosca potrà produrre, a cascata, un quadro strategico più stabile.
Turchia e Arabia Saudita (ma si può estendere il discorso agli Emirati Arabi Uniti) hanno grandi interessi su quell’arco di crisi che va dall’Europa orientale al Mar Rosso in cui si saldano le questioni dell’Ucraina, del Medio Oriente, del Corno d’Africa e del Golfo in un generalizzato contesto di caos regionale. L’Ucraina, per i due Paesi, è una ma non l’unica componente di una direttrice in cui si inseriscono altri teatri in cui l’interesse di Turchia, Arabia Saudita, Russia e Usa, del resto, si sovrappone: pensiamo alla Siria dove il governo di Abu Mohammad al-Jolani, filoturco, è al centro del grande gioco mediorientale, a Gaza, epicentro del caos mediorientale, o allo scenario del Caucaso dove è attivissimo l’Azerbaijan filoturco e produttore di gas.
Due Paesi ponte
Zelensky ha tutto l’interesse a far sponda con Erdogan e Mohammad bin Salman e i due leader hanno tutto l’interesse ad alzare l’asticella del loro protagonismo diplomatico. Entrambi i Paesi hanno una proiezione geopolitica, diplomatica, militare e d’intelligence, mantengono rapporti storici con gli Usa (Ankara è anche nella Nato) ma hanno trovato anche un modus vivendi con la Russia (Riad è nei Brics, la Turchia vi potrebbe entrare).
Dunque, Paesi-ponte tutori di un interesse regionale importante e che Usa e Russia non possono non tenere in considerazione. L’Ucraina lo sa e può saldare la sua diplomazia a due patroni inattesi ma interessati. Turchia e Arabia Saudita possono aiutare l’Ucraina per chiari dividendi securitari e per partecipare alla futura ricostruzione del Paese, e possono al tempo stesso farsi sentire da Usa e Russia. Rappresentano dunque dei mediatori più sistemici di un’Europa che, a oggi, è in panchina e senza possibilità di scendere in campo nel breve periodo.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)