(Roma, 06 gennaio 2025). L’acqua è sempre stata un bene strategico nel Medio Oriente, una risorsa tanto preziosa quanto scarsa, e il controllo delle fonti idriche rappresenta un elemento centrale nelle dinamiche geopolitiche della regione. L’offensiva israeliana nel sud della Siria, culminata nel controllo di sei delle principali fonti d’acqua della regione, tra cui le dighe di Al-Mantara e Al-Wahda, sottolinea come questa risorsa sia un obiettivo chiave per Israele, non solo dal punto di vista della sicurezza ma anche per la sua sopravvivenza economica e politica.
Israele, da decenni, ha adottato una strategia idrica che combina innovazione tecnologica, controllo territoriale e negoziati internazionali. Tuttavia, il controllo diretto di risorse idriche al di fuori dei propri confini rappresenta un salto di qualità. Attualmente, il 30% delle fonti idriche della Siria e il 40% di quelle della Giordania sono sotto il controllo israeliano, una realtà che riscrive gli equilibri della regione.
Per Israele, queste risorse non sono solo vitali per il consumo domestico o l’irrigazione agricola, ma hanno anche un valore strategico in termini di negoziati geopolitici. Controllare l’acqua significa avere un’arma di pressione nei confronti di Paesi come la Giordania, con cui Israele condivide un trattato di pace, e la Siria, che rimane un nemico storico. In un contesto di crescente scarsità idrica dovuta ai cambiamenti climatici e all’aumento della popolazione, la capacità di gestire e distribuire l’acqua diventa un elemento di potere che va oltre i confini nazionali.
L’importanza di queste risorse emerge chiaramente anche nelle aree occupate come le Alture del Golan. Qui, Israele non solo controlla parte delle riserve idriche del fiume Yarmouk, ma utilizza queste risorse per rafforzare la propria presenza e legittimare l’annessione di territori contesi. Le comunità agricole israeliane nelle zone limitrofe beneficiano direttamente di queste fonti, mentre la popolazione siriana e palestinese subisce le conseguenze di un accesso limitato o negato.
Tuttavia, il controllo idrico israeliano non si limita a una questione di sicurezza interna. Attraverso tecnologie avanzate come il desalinizzatore di Ashkelon o l’uso massiccio del riciclo delle acque reflue, Israele è diventato un leader mondiale nella gestione dell’acqua. Questa competenza tecnica viene utilizzata anche come strumento di soft power, con Israele che offre assistenza e know-how ad altri Paesi, rafforzando così la propria posizione internazionale.
Ma questa strategia non è priva di ombre. Per molti osservatori, il controllo israeliano sulle fonti d’acqua della Siria e della Giordania rappresenta un’ulteriore forma di espansione territoriale mascherata. Le implicazioni umanitarie sono significative, con comunità intere che vedono ridursi l’accesso a una risorsa vitale, alimentando risentimenti che si aggiungono a quelli già presenti a causa dei conflitti territoriali.
L’acqua, dunque, non è solo una questione di sopravvivenza, ma un elemento centrale nella politica di sicurezza e potere di Israele. Controllarla significa non solo assicurarsi il futuro del proprio Paese, ma anche determinare i destini di intere nazioni vicine. E in un Medio Oriente segnato da conflitti e instabilità, il controllo delle risorse idriche potrebbe essere il fattore decisivo che plasma il prossimo capitolo della storia regionale.
In altri termini l’approccio che Israele sta ponendo in essere rientra in quello che gli studiosi internazionali chiamano idrowarfare. Le cosiddette “Idro Warfare” si riferiscono all’uso strategico dell’acqua come arma o leva di potere nei conflitti geopolitici, militari ed economici. Un concetto che si è sviluppato nel contesto della crescente scarsità idrica globale e del ruolo cruciale dell’acqua per la sopravvivenza umana, l’agricoltura e l’industria.
Di Giuseppe Gagliano. (Inside Over)