(Roma, 05 dicembre 2024). Per il governo siriano di Bashar al-Assad è arrivato il giorno forse più duro dall’intervento russo nella guerra civile che ne risollevò le sorti nel 2015 ad oggi: la caduta di Hama, quarta città del Paese, storico crocevia commerciale e logistico del Paese levantino, segna un’accelerazione dell’offensiva delle forze anti-regime iniziata a fine novembre. E per i lealisti è una notizia peggiore della caduta di Aleppo.
La caduta di Hama, uno scacco per Assad
In primo luogo, perché porta la guerra civile laddove, dal 2011 in avanti, non si era mai spinta. Hama, teatro nel 1982 nel bagno di sangue degli insorti islamisti ad opera delle forze di Hafez al-Assad, padre del rais siriano e dell’attuale regime alawita, che vi uccisero 20mila persone si sollevò brevemente contro il governo centrale ma fu presto messa in sicurezza. Ora questa città schiude agli insorti le porte di Homs, terza città del Paese e teatro delle prime proteste nel 2011.
Inoltre, in secondo luogo, non c’è a disposizione dei lealisti filo-Assad neanche la possibilità di veder le spalle coperte, indirettamente, dalle Forze Democratiche Siriane di stampo curdo che ad Aleppo hanno arginato l’offensiva dei jihadisti. E, in terzo luogo, è l’identikit del gruppo che affonda i colpi contro Hama a preoccupare: Hay’at Tahrir al-Sham (Hts), il gruppo islamista radicale erede di Al Nusra e, dunque, di al-Qaeda guidato da Abu Mohammad al-Jolani è il nerbo dell’offensiva, ancor più dei militanti filoturchi dell’Esercito Nazionale Siriano.
Il regime si sta squagliando ?
Quarto e più critico punto da sottolineare è il fatto che le truppe dei jihadisti e quelle del regime sembrano essersi scambiate di ruolo. Le forze armate di Assad appaiono mal organizzate, milizie raccogliticce spesso intente ad abbandonare le postazioni senza un piano organico nei video e nelle foto a disposizione.
Gli insorti si muovono con coerenza tattica e strategica. La stessa manovra che ha portato alla presa di Hama è stata ben congegnata: i jihadisti non hanno messo le loro reti logistiche sotto stress, hanno lavorato per circondare la città rendendo praticamente insostenibile la sua difesa e costringendo, al primo vero assalto diretto, i lealisti a ripiegare. Nodi strategici attorno Hama come Taybat al-Imam , Kafr Zita , Latamneh e Morek sono caduti uno dopo l’altro per prevenire l’invio di rinforzi da parte del regime. Attorno Hama sono segnalate presenti unità delle Tiger Forces, la 25esima Divisione delle Forze Speciali del maggior generale Suhayl al-Hasan, un’unità d’élite dell’esercito lealista, ma non è chiaro se e quanto potranno contribuire a un contrattacco.
La percezione è che l’avanzata dei jihadisti, ben preparata, miri a consolidare ogni risultato un obiettivo dopo l’altro. E, soprattutto, che di fronte alle forze radicali si stia mostrando la difficoltà del governo centrale di offrire una reazione militare e politica credibile. Con la Russia e l’Iran intenti a guardare sugli scenari di Ucraina e Israele e Hezbollah che non è intenzionata a intervenire, la prospettiva che si apre è quella di una grave difficoltà del regime. Del resto, come ricorda Responsible Statecraft, il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, vietando la concentrazione militare del Partito di Dio al Sud, ne pregiudica la capacità di proiettarsi al fianco delle forze pro-Assad oltre confine.
Gli scenari futuri
La dittatura di Damasco appare pericolante dopo questo duro colpo e c’è la crescente percezione che un altro colpo possa far male. In undici anni di guerra civile solo due capitali di provincia, Idlib (centro nevralgico dell’opposizione) e Raqqa (ex capitale dello Stato Islamico) erano cadute totalmente nelle mani dei ribelli o dei jihadisti. Ora in poco più di una settimana Assad ha perso il controllo della seconda e della quarta città del Paese, Aleppo e Hama, e ora si aprono ai jihadisti che fanno parte della coalizione spalleggiata dalla Turchia le porte di Homs.
La percezione è che senza i suoi patroni internazionali il regime rischi di squagliarsi come neve al sole. E al contempo ci si interroga cosa resti del governo di Damasco dopo anni di puntellamento russo e iraniano: come mai l’esercito è così disorganizzato? Perché non c’è alcuna percezione di una mobilitazione a favore del governo? Come è stato speso il tempo concesso ad Assad dai suoi alleati favorendo la riscossa del regime contro ribelli e jihadisti? Il sospetto che la cerchia filo-Assad al potere a Damasco abbia speso gli anni più per costruire la rete di narcotraffico basata sul captagon che alimenta le entrate e la corruzione del regime che per rafforzare lo Stato è palese. E ora, mentre l’avanzata jihadista e dei militanti dovrà essere valutata alla luce delle capacità della logistica dei gruppi anti-Assad e delle effettive intenzioni di dare un altro colpo al regime, per Assad la guerra entra in un territorio inesplorato. Potenzialmente in grado di destabilizzare l’intero quadrante mediorientale.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)