(Roma, 03 dicembre 2024). “Senza la Francia, il mondo sarebbe solo”, recita un aforisma attribuito all’immenso Victor Hugo. Ma oggigiorno qualche nazione africana reclama un po’ più di solitudine e meno grandeur alla francese. Il Ciad – stato dell’Africa centrale – ha deciso di interrompere ogni rapporto di collaborazione con Parigi in materia di difesa e sicurezza militare, come annunciato dal ministro degli Esteri, Abderaman Koulamallah: “Dopo 66 anni dall’indipendenza della Repubblica del Ciad, è giunto il momento per il Ciad di affermare la sua piena sovranità e di ridefinire le sue partnership strategiche in base alle priorità nazionali”. Tale dichiarazione è giunta qualche ora dopo la conclusione della visita istituzionale nel Paese del ministro transalpino Jean-Noël Barrot, con il quale Koulamallah ha avuto un incontro bilaterale che, secondo quanto riportato da Le Monde, sarebbe stato molto cordiale. In contatto telefonico con il celebre quotidiano parigino, il ministro ciadiano ha riferito che la decisione di pronunciare tali parole di scontro con l’ex potenza coloniale è stata assunta in occasione del 66esimo anniversario della proclamazione della nascita della repubblica subsahariana.
Un dubbio, però, sorge spontaneo? Il governo di Michel Bernier e l’Eliseo sono stati informati della suddetta decisione o l’hanno appresa solo dalla stampa? Difficilo dirlo, anche perché da nessuna delle parti in causa è giunto un qualche indizio che lasci pensare che ci sia stata “un’intesa” e in tanti credono che nei palazzi di Parigi le eminenze grigie abbiano storto il naso. Attenzione, però, che un’altra notizia poco rassicurante è giunta nelle stesse ore. Bassirou Diomaye Faye, presidente del Senegal, ha annunciato che la sua terra non è più disposta a ospitare basi militari francesi e che l’Eliseo farebbe bene a pensare di ritirare i suoi soldati e operatori militari. Diomaye Faye fa appello alla sovranità, al patriottismo e al senso di appartenenza a una comunità nazionale che non tollera ingerenze straniere: “Il Senegal è un Paese indipendente; è un Paese sovrano e la sovranità non accetta la presenza di basi militari in un Paese sovrano”.
Le parole di Diomaye Faye sono forti del sostegno popolare incassato con le elezioni legislative tenutesi a novembre, che hanno certificato un plebiscito per il suo partito Pastef (Patriotes Africains du Sénégal pour le Travail, l’Éthique et la Fraternité), il quale ambisce ad attuare delle riforme che riportino il controllo di buona parte delle risorse naturali sotto il controllo del Governo senegalese, dopo che l’ex presidente Macky Sall, aveva stretto degli accordi commerciali che concedevano all’Occidente, Francia in primis, l’accesso ai preziosi asset del Paese.
Per stemperare la tensione, i governi di Ciad e Senegal si sono apprestati a rassicurare gli animi dei francesi, affermando che l’intenzione di attuare una politica di difesa e sicurezza autonoma non comporta l’interruzione di qualsivoglia relazione con Parigi. Indubbiamente, la Françafrique – denominazione con cui si identificano le ex colonie africane appartenenti un tempo alla Francia e con la quale vantano ancora oggi dei legami economici e diplomatici – sembra andare verso uno sgretolamento sempre più rapido dato che prima già il Burkina Faso, il Mali e il Niger avevano sferrato un duro colpo a Parigi costringendola a chiudere le sue basi militari. La tentazione di questi Paesi è di affrancarsi dall’ingombrante retaggio francese che ancora oggi ha il suo peso – vedasi la moneta Eco, ex Franco CFA – al punto da impedire la piena crescita e sviluppo e di guardare a Est del globo, ovvero all’Orso russo.
La presenza nel continente dei soldati dell’organizzazione paramilitare Wagner ha rappresentato e rappresenta un riferimento affidabile per rimpinguare i contingenti locali e dare la spallata ai francesi, come nel caso del Mali. Di conseguenza, la Russia ha le carte in tavola per presentarsi come nuovo ed emergente partner militare, ma allo stesso tempo anche come alleato commerciale pronto a effettuare cospicui investimenti in infrastrutture, nel settore petrolifero e minerario mediante una comunicazione social e informatica che mira a dipingerla come liberatrice dal giogo transalpino.
Non c’è da stupirsi, in realtà, se l’Africa oggi guarda a nuovi orizzonti politici e partnership alternative data la crisi dell’egemonia occidentale che è in essere da tempo e con l’affermarsi sul palcoscenico geopolitico dei Brics che, non a caso, da quest’anno annoverano anche due nazioni africane, seppur non francofone, quali l’Egitto e l’Etiopia. Vedremo quali saranno le reazioni e le contromosse di Parigi e del presidente Emmanuel Macron, il quale si ritrova una bella matassa da dipanare, oltre a quella del fragile governo Barnier.
Di Guglielmo Calvi. (Inside Over)