(Roma, 27 novembre 2024). Mesi di conflitto, di devastazioni sui vari fronti, di vittime e di sfollati. Poi, nel giro di poche ore, tutto ritorna al punto di partenza o quasi. La storia del medio oriente è spesso caratterizzata da eventi precipitati troppo in fretta nei meandri della violenza, da cui ci si discosta quando è troppo tardi per comprendere che morte e distruzione per la verità non possono lasciare sul campo né vincitori e né vinti. É accaduto, ad esempio, nella guerra tra Iraq e Iran quando, dopo un milione di morti e otto anni di guerra, nessuno è riuscito a strappare all’avversario anche un solo metro di terra.
E così sembra accadere oggi in Libano. Il cessate il fuoco annunciato nelle scorse ore tra Israele e il gruppo filo sciita degli Hezbollah, è arrivato dopo mesi difficili e dopo molteplici devastazioni. Ed è stato siglato dopo che tutti gli attori in campo hanno capito che era meglio tornare al punto di partenza.
Un accordo che ricalca la tregua del 2006
Andando a leggere infatti i dettagli dell’intesa, si nota come i punti nevralgici siano esattamente gli stessi che hanno sancito la tregua nel luglio del 2006. In quel mese cioè dove Israele ed Hezbollah hanno dato vita a un breve ma, anche in quel caso, intenso e doloroso conflitto. Due gli elementi più importanti previsti dal documento siglato oggi e da quello firmato diciotto anni fa: il ritiro di Hezbollah più a nord, al di là del fiume Litani, il ritorno dell’esercito libanese nelle aree che dovrebbero essere abbandonate dai miliziani sciiti.
Poi, contestualmente, è stato previsto il ritiro delle forze israeliane dalle aree libanesi occupate in queste settimane di conflitto. Inoltre, così come chiesto dagli Stati Uniti, vi sarà l’impegno della comunità internazionale a rafforzare la missione Unifil. Anche questa una promessa che sa di vecchio: nel 2006, come sforzo per evitare nuovi contatti tra israeliani e sciiti libanesi, è stata archiviata Unifil I ed è stata avviata Unifil II, ossia la missione attuale finita nel mirino degli attori in campo nelle scorse settimane.
Pressione per ridare dignità istituzionale al Libano
Per attuare vecchie e nuovi buoni propositi, le parti avranno due mesi di tempo a disposizione. Il cessate il fuoco infatti varrà per i prossimi 60 giorni. Al termine dei quali, anche in questo caso su richiesta di Washington (e in parte di Parigi), a Beirut occorrerà trovare la quadra a livello politico. Il Libano, in particolare, dovrà avere un nuovo presidente della Repubblica. Questo perché il Paese non ha un capo di Stato dall’ottobre del 2022, mese in cui è terminato il mandato di Michel Aoun. Da allora, il parlamento non è stato in grado di eleggere un successore, circostanza che ha disgregato ulteriormente un’impalcatura istituzionale già molto traballante.
La scommessa degli Usa, volta a dare rassicurazioni a Israele, è che con un quadro politico rinnovato si potrebbe far riavviare il processo di ricostruzione dello Stato libanese. Ricostruzione che, a sua volta, nelle speranze di Washington dovrebbe dare quella stabilità tale da obbligare Hezbollah a sottostare ai patti sottoscritti.
Soltanto il tempo dirà se la tregua reggerà o meno. Di certo, nel brevissimo periodo a tirare un maggiore sospiro di sollievo saranno gli abitanti di Beirut, oltre che del sud del Libano e del nord di Israele. Anche se in pochi, dopo mesi di bombe ed esplosioni, crederanno che tutto sia realmente finito.
Di Mauro Indelicato. (Inside Over)